Jackson Pollock (Cody, 28 gennaio 1912 – Long Island, 11 agosto 1956) aveva partecipato a un seminario tenuto dall’artista americano David Alfaro Siqueiros, specializzato nella produzione dei murale. In quel caso aveva notato quanto il muralismo si differenziasse dalla pittura sfumata e tonale della tradizione occidentale per puntare su una gamma limitata e violentissima di colori con l’uso preponderante dei primari. In quell’epoca, l’osservazione della violenza espressiva del colore, in grado di trasformarsi in un urlo cromatico, si unì ad un imprinting fondamentale per l’artista: il ricordo della pittura di sabbia, praticata, a livello di rappresentazione magica, da parte dei nativi americani che egli aveva visto, per la prima volta, accompagnando il padre, agrimensore, durante un sopralluogo nella regione.
Nel 1941 egli visitò più volte la mostra Indian Art and the United States, partecipando, come osservatore, alle diverse dimostrazioni pratiche compiute da da stregoni, che lavoravano con un distacco dalla realtà simile a un’esperienza di trance.I nativi americani, come avremo modo di vedere in due documentari, uno dei quali nel 1949 – e pertanto negli anni in cui Pollock già produce i propri lavori di action painting – si basa sull’uso di polveri e sabbie dai colori diversi. I pittori-sciamani creavano, come base effimera, una base di sabbia appiattita e resa liscia, trascinando su di essa un’asse. A questo punto attingevano a diverse polveri, sabbie e pigmenti, racchiudendo ogni polvere in un pugno e lasciando poi scivolare, per caduta simile a quella della sabbia in una clessidra, sul preparato di sabbia chiara. Ma se il gesto può apparire simile, gli indiani d’America, componevano, per cadute opere molto ordinate, nelle quali figure antropomorfe erano collegate ad elementi geometrici.
Essi andavano cioè a comporre le forze del caos, costringendole all’ordine della divinità e degli spiriti, come avviene nei mandali, nei tappeti orientali o nei mosaici della tradizione occidentale. In Pollock, al contrario, il gesto diviene espressione dell’Es, ribellione, azione espressiva che infrange le regole dell’arte occidentale, in una geometria del caos che, si è detto, ha anticipato gli studi dei frattali e la non linearità delle tradizionali scienze di misurazione del mondo.
I capolavori degli indiani Navajos, realizzati con la sabbia. Avrebbero ispirato Pollock. Eccoli
Essi andavano cioè a comporre le forze del caos, costringendole all'ordine della divinità e degli spiriti, come avviene nei mandali, nei tappeti orientali o nei mosaici della tradizione occidentale. In Pollock, al contrario, il gesto diviene espressione dell'Es, ribellione, azione espressiva che infrange le regole dell'arte occidentale, in una geometria del caos che, si è detto, ha anticipato gli studi dei frattali e la non linearità delle tradizionali scienze di misurazione del mondo.