di Anita Loriana Ronchi
Stile incontra Luigi Cavadini, curatore dell’antologica Arturo Bonfanti 1906-1978, in esposizione alla Pinacoteca Casa Rusca di Locarno fino al 30 giugno 2002.
Innanzitutto, perché Locarno ha deciso di ospitare una mostra dedicata ad Arturo Bonfanti?
Bonfanti, nativo di Bergamo, frequentò molto l’atelier locarnese Lafranca, un laboratorio grafico e di litografia, soprattutto a partire dal ’68 e nella prima metà degli anni ’70. Qui l’artista realizzò buona parte della sua produzione grafica.
Fu in questo contesto che Bonfanti intrecciò i suoi rapporti con i pittori astrattisti Arp e Nicholson. Può dirci qualcosa al riguardo?
Bonfanti aveva già conosciuto in precedenza Arp e Nicholson, ma ha occasione di riprendere i contatti perché entrambi abitavano in Ticino e lavoravano presso l’atelier Lafranca, che produceva anche una carta a mano sulla quale questi artisti realizzavano le loro opere. Con Nicholson il rapporto è più diretto perché entrambi artisti assumono un astrattismo dal lirismo evocativo, dove la costruzione non ha nulla a che fare con il mondo naturale, mentre Arp elabora un astrattismo informale dal carattere organico.
Quali sono state le modalità espositive adottate nell’allestimento di Locarno e quali criteri hanno guidato la selezione delle opere?
Abbiamo voluto presentare un’antologica che parte dagli anni ’30, quando Bonfanti prediligeva il genere figurativo e i temi legati all’illustrazione per arrivare all’ultima opera del ’78, anno della sua morte. Siamo di fronte quindi ad una panoramica di tutta la sua produzione, che comprende 170 opere, fra cui una ventina di sculture e rilievi, venti realizzazioni grafiche, venti disegni e una serie di dipinti che esprimono tecniche diverse, dagli oli su tela agli acrilici su pavatex, come Bonfanti chiamava il truciolato utilizzato negli ultimi anni. Si è cercato di individuare un percorso che non rispettasse soltanto l’ordine cronologico, ma evidenziasse il riferimento fra dipinti e creazioni scultoree. Inoltre per la prima volta viene proposta in maniera ampia e organica la produzione scultorea di Bonfanti, compresi gli esemplari in alluminio e in legno laccato.
Può menzionare qualche opera a suo giudizio particolarmente significativa dell’esperienza artistica del pittore bergamasco?
Fra le prime creazioni di Bonfanti, ricorderei una Natura morta del ’38 estremamente stilizzata e che è in grado di fornire un’idea della terza dimensione. Sempre per lo stesso periodo, una serie di collages che documentano i rapporti coloristici e spaziali. Le opere hanno vario formato: si va dalle cosiddette minipitture a quadri di dimensioni molto più importanti, come un soggetto del ‘64 intitolato “Due T. + Due 182”, che misura 130 x 164 centimetri ed il più grande realizzato dall’artista. Da notare che le opere di Bonfanti in genere non hanno un titolo vero e proprio, ma si distinguono in base a sigle di riferimento e di catalogazione. I disegni sono studi preparatori per opere pittoriche, tuttavia hanno una valenza quasi del tutto autonoma poiché rappresentano un’analisi della divisione dello spazio in parti.
La mostra valorizza la fase in cui Bonfanti matura la sua lunga stagione astratta, dagli anni ’40 in avanti.
La stagione astratta riguarda il 90 per cento dei materiali presenti in mostra. Del periodo figurativo sono infatti rimaste poche opere. Trovano spazio anche alcune copertine di libri realizzate con una logica diversa da quella dell’astrazione: si tratta in parecchi casi di opere per ragazzi. Quello di Bonfanti può essere definito un astrattismo di carattere concreto, nel quale la forma e il colore si trasformano in oggetto. E’ un’astrazione che non riprende l’immagine del reale e non semplifica la realtà, ma rende concrete le forme geometriche inventate.
Nella composizione astratta di Bonfanti sono protagonisti di pari grado e dignità la linea,la superficie e il colore. Tre “risorse elementari”, come lei dice, che sono gestite con grande rigore e profondo senso lirico. Può chiarire meglio questo concetto?
La scelta di Bonfanti è stata di lavorare con questi tre strumenti nuovi per creare un’immagine inedita e originale. Li utilizza in modo lirico perché non adotta una costruzione rigorosa e schematica. Le linee rette possono curvarsi, rispondere a sensazioni e generare così una pittura più libera di quella di altri interpreti del linguaggio astratto. Bonfanti è un artista unico: non si trova un altro che lavori come lui.
Con questo evento la Pinacoteca Casa Rusca di Locarno inaugura un ciclo di esposizioni dedicate ad artisti che hanno frequentato assiduamente il Canton Ticino. Può fornirci qualche anticipazione sulle prossime iniziative che si svolgeranno in tale ambito?
Fra i protagonisti ci potrebbe essere lo stesso Nicholson oppure un Bissier. Non dimentichiamo che il Ticino è stato un po’ un luogo d’incontro e di passaggio per gli artisti europei, che spesso si rifugiavano in questa regione neutrale per sfuggire alla guerra o per trovare un atelier in cui applicarsi proficuamente nella ricerca.