La pittura, seguendo le suggestioni letterarie e le voci popolari, si misurò con le ossessioni amorose di persone attempate che intendevano concupire donzelle o giovanotti. Dai quadri “femministi” dei fiamminghi all’opera di Tintoretto che punisce, secondo il mito, il maturo Vulcano colpevole d’aver sposato la giovane e bella Venere
Il collegamento tra musica ed eros appare nei termini di scabrosa evidenza nell’opera di una pittrice del nord Europa, Judith Leyster (Haarlem 1600-Hoemstede 1660), che rappresenta il moto concupiscente di un’anziana nei confronti di un massiccio giovanotto, il quale suona il liuto. La vecchia ricca offre qui del denaro e forse esibisce, tra indice e pollice, un anello, per legare a sé il suonatore.
Il quadro venne successivamente manomesso, perché considerato volgare, forse nel momento in cui giunse in Italia. “Nel significato scandaloso del nostro dipinto – l’anziana donna che offre del denaro al giovane per comprare il suo amore – diffuso in area fiamminga, ma inaccettabile per la morale italiana” scrive Rossella Vodret nella scheda dedicata all’opera (Colori della musica. Dipinti, strumenti e concerti tra Cinquecento e Seicento, Skira) “è senz’altro da ricercare il motivo per cui nel secolo XIX fu coperta la figura femminile, trasformando la tela in un innocente quadro di liuto”.
Né può sfuggire, nella laida scenetta, tutta giocata con sottintesi, l’intensità delle mani del suonatore sulla corderia, mani maschili che costituiscono nel movimento e nell’arpeggio uno degli elementi in grado di colpire l’immaginario erotico femminile. Quel toccare e sfiorare, quel divaricare e serrare sollecitano l’idea dei piaceri più profondi della carne.
“La presenza della musica in un contesto chiaramente scandalistico-erotico – conclude Rossella Vodret – è un’ulteriore conferma della stretta connessione tra i due aspetti, una connessione che, soprattutto nel mondo fiammingo, proseguirà fino al sesto decennio del XVII secolo”.
Se i popoli del Nord Europa dimostravano di apprezzare la grottesca raffigurazione del desiderio femminile – quando ormai la fecondità era finita e i tempi non si sarebbero più rivelati pronubi all’amore con santi fini riproduttivi -, in Italia il gusto aveva una carica algebrica di segno opposto. I collezionisti sceglievano scene di seduzione nelle quali il corruttore fosse il maschio, come un serpe libidinoso, strisciante con mani e denari sul corpo della giovane concupita.
A questo proposito, un altro fiammingo, Frans van Mieris il Vecchio, fu chiamato a dipingere nel 1673 l’opera Il vecchio amoroso, che venne commissionata all’artista da Cosimo de’ Medici. L’uomo, dotato di un’espressione grifagna e dai minuscoli occhi di rettile, congiunge le mani, per pregare la pulzella di giacere con lui. Il corpo della fanciulla, per il vecchio, non ha prezzo, come dimostrano i pingui sacchi di monete appoggiati sul tavolo. Ma la giovane si schermisce. Riuscirà davvero a resistere? E quale prezzo reale ha la sua integrità?
Una scritta sull’architrave del camino avverte: Is niet metal (Questa volta non è il metallo). La frase lascerebbe intendere che la fanciulla virtuosa non è intenzionata a giacere con il vecchio nemmeno per tutto l’oro del mondo. Il dipinto si colloca in una dimensione evidentemente comico-grottesca, caratterizzata da una lata connotazione moralistica. Ma l’atteggiamento muterà il secolo dopo. Questo tema sarà sviluppato nei termini di un drammatico desiderio di vita da parte del poeta veneziano Giorgio Baffo, che piange e insulta per la perdita del bene corporeo femminile, che cerca di convincere all’amore e che maledice quando non ottiene. Il tempo è passato e il suo corpo vecchio non è in grado di attrarre le giovani donne, che tornano al mondo, nel giro infinito dell’esistenza, come un palese insulto all’età estrema