di Silvia Pegoraro
[U]no dei due filosofi antichi intorno a cui, secondo molti, gravita tutta la storia della cultura occidentale, è Platone. Il suo nome significa “dalle larghe spalle”. La sua prestanza fisica gli servì per gareggiare e diventare campione di lotta e pugilato ai giochi di Delfi e di Corinto. Potremmo immaginare, noi, un Tyson che scrive il “Fedro”, il “Simposio”, la “Repubblica”? In età moderna la distanza tra arte, cultura e sport è quasi sempre apparsa incolmabile, il dominio dei muscoli inconciliabile con quello della mente. Nell’antica Grecia era esattamente il contrario. Lo studioso polacco Bronislaw Bilinski scrive che “nel periodo di apogeo atletico, tra i secoli VI e V a.C., parola, musica, pittura e scultura furono tutte al servizio delle gare atletiche (…). Negli stadi di Olimpia, Nemea, Delfi, Istmo, l’abilità fisica s’incontrava con l’ispirazione artistica e la vittoria dell’atleta evocava, allo stesso tempo, la musa del poeta o l’ispirazione dello scultore”. Mario Pescante si occupa da sempre di sport: prima come atleta, poi come docente di Legislazione e normative sullo sport all’Università La Sapienza e di Diritto dello sport alla Luiss di Roma, presidente del Coni dal 1993 al 1998, e attualmente presidente dei Comitati olimpici europei e membro del Cio. E da sempre una delle sue preoccupazioni maggiori è quella di opporsi al pregiudizio dell’inconciliabilità tra cultura e sport. Dopo la nomina, nel 2001, a Sottosegretario ai Beni culturali con delega allo sport, la sua attività in tale direzione si è naturalmente arricchita e intensificata: nell’autunno di quest’anno uscirà da Mondadori un suo libro sullo sport nell’antica Grecia, dove ampio spazio sarà dedicato proprio al rapporto tra sport, arte e cultura. Un legame che sarà evidenziato anche dalla mostra “Nike. Il gioco e la vittoria” – ideata dallo stesso Mario Pescante -, che inaugurerà al Colosseo a fine giugno.
Onorevole Pescante, era così forte nell’antichità il legame tra cultura, arte e sport?
Più che di un legame, si trattava di una vera e propria simbiosi: arte e sport costituivano un binomio fecondo, diventato inscindibile in Grecia tra il VII e il V secolo a.C., tanto che non si può neppure concepire l’evoluzione artistica senza l’esperienza derivante dalle gare o dagli esercizi di palestra. Proprio lo studio dei corpi degli atleti, ad esempio, guidò Policleto all’elaborazione del suo “canone”, concretizzato nella statua del “Doriforo” e in un trattato purtroppo perduto. Anche la letteratura si è interessata prestissimo di sport: dobbiamo nientemeno che ad Omero la più antica descrizione, dettagliata e palpitante, di giochi atletici: gli agoni funebri banditi da Achille per onorare l’amico Patroclo, ucciso da Ettore. Quei versi colpirono profondamente Schiller, che affermò: “Non ha vissuto invano chi ha potuto leggere il XXIII canto dell’Iliade”. E nell’VIII canto dell’Odissea, Omero descrisse anche i giochi organizzati dal re dei Feaci, Alcinoo, in onore di Ulisse. Ma, soprattutto, diversi “Giochi” dell’antica Grecia nacquero come competizioni nell’ambito di discipline artistiche, a cui le gare sportive si aggiunsero solo in seguito: è il caso, ad esempio, dei Giochi pitici disputati a Delfi, città sacra ad Apollo, che traevano origine essenzialmente dagli agoni musicali, ai quali si aggiunsero col tempo quelli sportivi. Un’origine legata alla dimensione del sacro era comune a tutti i Giochi?
Sì: gli agoni artistici e sportivi che si mescolavano in queste manifestazioni erano legati alla dimensione del culto degli dei o degli eroi: nascevano per onorare qualche divinità o qualche eroe leggendario, o per commemorare i caduti in battaglia.
Qual è l’esempio più significativo del binomio arte-sport nell’antica Grecia?
Si tratta senza dubbio dei più famosi Giochi di tutti i tempi: le Olimpiadi. La città sacra dell’Elide, durante i Giochi, non era solo il più importante centro sportivo del mondo, ma anche un centro artistico, culturale e politico di grande rilievo, capace persino di assicurare la tregua nel paese (“ekecheirìa”). Ad Olimpia, in concomitanza con le gare sportive, si riunivano moltissimi scrittori ed artisti, e da questa incomparabile unione derivò il prestigio di cui i Giochi godettero così a lungo. Artisti e studiosi approfittavano delle Olimpiadi, momento di pacifico raduno di tutti i Greci, per farsi conoscere da un pubblico vastissimo e raggiungere così una rapida fama: la città sacra del Peloponneso (il nome della regione deriva proprio dal mitico fondatore dei Giochi, Pelope) costituiva infatti una straordinaria cassa di risonanza. In fondo, le Olimpiadi furono anche il primo grande mezzo di comunicazione di massa. Fu ai piedi del monte Cronio, mentre si cingevano di corone d’ulivo i campioni dello sport, che Pindaro, Simonide e Bacchilide declamarono i loro versi. Spesso, artisti, poeti e filosofi partecipavano alle stesse gare sportive. Una vittoria olimpica accresceva enormemente il prestigio sociale, e favoriva anche l’ingresso in politica.
E per ciò che riguarda le arti visive?
Fra i tanti personaggi famosi presenti ad Olimpia va segnalato il pittore Zeuxis di Eraclea, famoso competitore di Parrasio e Timante. Alle spalle dello stupendo tempio dorico di Zeus, dai celebri frontoni, lo scultore Fidia eresse il suo laboratorio, dove realizzò la gigantesca statua crisoelefantina del dio, allora reputata una delle sette meraviglie del mondo. Nell’“altis” (il recinto sacro a Zeus ad Olimpia), secondo Pausania sorsero anche le statue di Omero e di Esiodo. Ogni vincitore di Olimpia aveva il diritto di farsi erigere una statua con iscrizione.
Soprattutto sulla statuaria si incentra la grande mostra sullo sport nell’antichità greco-romana svoltasi al Colosseo…
Le statue costituiscono le più importanti e numerose testimonianze circa i rapporti tra arte e sport nell’antichità. I maggiori artisti lavorarono per gli olimpionici, venendo a creare il più grande museo all’aperto della storia: pare che il numero delle statue arrivasse a cinquecento nel periodo di massimo splendore dei Giochi, e Pausania nel II secolo d.C. ne contò circa duecento. Il connubio inscindibile tra l’arte e lo sport in Grecia produsse capolavori quali l’“Auriga” di Delfi (V sec. a.C.), il “Discobolo” di Mirone (V sec. a.C.), l’“Apoxyomenos” di Lisippo (IV sec. a.C.), i “Pancraziasti” alla Galleria degli Uffizi (III sec. a.C.).
Anche altre arti, però, offrono esempi stupefacenti di rappresentazioni relative alle discipline sportive nell’antichità.
Certo: si pensi alle stupende immagini della pittura vascolare greca a figure nere e rosse; agli affreschi tombali etruschi di Chiusi e Tarquinia; ai mosaici romani delle Terme di Caracalla, di Tuscolo e di Piazza Armerina, in Sicilia.
A che cosa fu dovuta la decadenza degli antichi Giochi?
Innanzitutto, a partire dal IV secolo a.C. si attenuò il carattere sacrale che in passato aveva caratterizzato la vittoria degli atleti: sempre più spesso sportivi di professione, persero quei mitici connotati di cui soprattutto la poesia di Pindaro li aveva circonfusi. Un ruolo importante, poi, è giocato dall’affermazione del Cristianesimo, che vedeva nei giochi atletici pericolose sopravvivenze dei riti pagani. Le Olimpiadi si disputarono dal 776 a.C. (23 anni prima della fondazione di Roma) al 393 d.C., quando vennero sospese dall’imperatore Teodosio dietro le pressioni del vescovo di Milano, Ambrogio. Per gli storici dello sport il Medioevo ha inizio proprio con la soppressione dei Giochi. Un terzo fattore – per certi versi il più importante – è costituito dalla dominazione romana: la passione dei Romani per il circo (dove si esibivano perlopiù schiavi) favorì fortemente la morte dell’olimpismo (per il quale la condizione libera dei partecipanti era requisito irrinunciabile). Di quel mondo, i Romani ereditarono solo la passione per le corse dei carri.
Pensa sia possibile ritrovare quello spirito, oggi?
Dovremmo fare tutti il possibile per ritrovarlo. Sul finire dell’Ottocento, mentre tornavano in auge vecchi sport e ne nascevano di nuovi, maturò un avvenimento di eccezionale portata: la resurrezione delle Olimpiadi dopo quindici secoli. I primi Giochi dell’epoca moderna si disputarono ad Atene nel 1896. Il barone Pierre de Coubertin, fautore di questa rinascita, mirava proprio all’unione di sport e cultura, di sport e arte, a ciò che lui definiva “le mariage des muscles et de l’ésprit”.