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La passeggiata nel campo dei papaveri – l’opera è intitolata Les Coquelicots, nome francese di questi fiori – è uno dei quadri più amati e conosciuti di Claude Monet. Amato, diffuso, riprodotto e visto, a tal punto, da suscitare quasi un senso di noia. Comunque sia è un capolavoro, pur se, per certi aspetti, manierato, secondo i gusti dell’epoca. Monet è ancora accondiscendente. E queste passeggiate, così composte, nelle quali la figura umana rientra in un cliché non sarà del futuro Monet. Quanto i papaveri, che perdono con il tempo la potenza della propria instabilità. Il papavero è stato infatti, tra Ottocento e Novecento, un fiore amatissimo, poi èandato in declino per la sua flessuosità fragilità, poco combattiva. Ma cosa poteva rappresentare meglio, in quegli anni, il desiderio di natura, il caldo ancora sopportabile e ventilato della fine di giugno? E quale gioia cromatica si riceveva da quei fiori occhieggianti tra l’erba o il giallo delle messi, come un inno alla bellezza gratuita che cresce tra le spighe cariche di frutti? Nello spettatore parigino ciò dichiudeva lo sguardo alle delizie della villeggiatura.
La tela venne prodotta nella campagna di Argenteuil, nel 1873, nell’anno precedente alla prima mostra impressionista.
L’azione del vento sui campi, i colori cangianti dell’erba alta e dei petali, ora rossi, ora tendenti al vermiglio, ora bruniti, ma lievi e preziosi come lembi di seta e di velluto, costituivano un vero trionfo per l’occhio di Manet, per certi aspetti aperti al nuovo, ma al contempo tempo, qui, incantati da una visione tradizionale della passeggiata, un paesaggio con figure che sembra venire dal passato.
Ciò che risulta estremamente interessante è che l’artista introduce una sequenza, reiterando la presenza di madre e figlio – la compagna di Monet e il loro bambino -. Prima li coglie sulla cima del dosso, poi più in basso, ma mutandone gli abiti. La presenza della mamma e del bimbo con il cappellino di paglia, che viene replicata lungo la diagonale del rettangolo compositivo, contribuisce a suscitare, come si diceva, una sensazione di movimento in discesa. Non è soltanto una preoccupazione compositiva.di pesi e di occupazioni degli spazi. Monet tende a ciò che avrebbe sviluppato in modo straordinario, successivamente: suggerire il movimento reale, anche attraverso un richiamo alle linee vettoriali.
Un ingrandimento dell’area del dipinto, coincidente con il dosso sul quale cresce la maggior quantità di papaveri consente di capire come l’artista abbia ottenuto questi fiori. Utilizzando il rosso e il blu ha ottenuto un colore compreso tra il vinaccia e il marrone. Ha poi cosparso, sul verde vizzo del prato, queste macchie scure, alcune delle quali sono ancora visibili. Successivamente ha sovrapposto il rosso delle foglie dei papaveri. La sovrapposizione ha creato un movimento tra l’ombra colorata e il colore acceso sovrastante, suggerenti,in alcuni punti, la delineazione scura di alcuni petali. Nei piani più arretrati mischia l’ocra al rosso per ridurre l’intensità del colore.
Con il passare degli anni, stile e tecnica mutano. La pittura di Monet tende a diventare più frenetica, almeno fino alla fine del secolo – pur con libertà d’andata e ritorno – poichè successivamente muterà ancora, diventendo lunga e filamentosa, come nelle Ninfee e nei Glicini. Lo sguardo, nel dipinto che vediamo qui sopra, si sposta dalla terra al cielo in cui vibrano, tremule, le foglie dei pioppi. Pertanto la scena manierata del primo dipinto si disperde qui in sola luce; le due figure umane sono anch’esse vampe di calore, tra papaveri ardenti che hanno perso ogni forma predefinita, nell’aria calda agitata dalle prime cicale; Monet sfoca i papaveri, le macchiette, in un vento che fruscia di profumi caldi e consente allo spettatore di innalzare l’occhio verso il pioppeto in cui la calura si estingue, tra mille foglie vibranti, nel blu.. Accostare pioppi e papaveri significa cercare il massimo del movimento nel paesaggio immoto; essi, più d’ogni altra pianta od essenza, vibrano al soffio impercettibile di vento; e Monet così conferma di non essere tanto – o solo – alla ricerca della cangianza di un colore, ma del fremito vitale da ricreare sul quadro.
I PAPAVERI DI VAN GOGH
Vincent Van Gogh (1853-1890), Campo di papaveri.
I PAPAVERI DI DE NITTIS
I papaveri nell'arte, il meccanismo della rivoluzione gioiosa di Monet
L'azione del vento sui campi, i colori cangianti dell'erba alta e dei petali, ora rossi, ora tendenti al vermiglio, ora bruniti, ma lievi e preziosi come lembi di seta e di velluto, costituivano un vero trionfo per l'occhio di Manet, per certi aspetti aperti al nuovo, ma al contempo tempo, qui, incantati da una visione tradizionale della passeggiata, un paesaggio con figure che sembra venire dal passato.
Ciò che risulta estremamente interessante è che l'artista reitera la presenza di madre e figlio - la compagna di Monet e il loro bambino -. Prima li coglie sulla cima del dosso, poi più in basso, ma mutandone gli abiti. La presenza della mamma e del bimbo con il cappellino di paglia, che viene replicata lungo la diagonale del rettangolo, contribuisce a suscitare, come si diceva, una sensazione di movimento in discesa. Non è soltanto una preoccupazione compositiva. Monet tende a ciò che avrebbe sviluppato in modo straordinario, successivamente: suggerire il movimento reale.