I pittori americani del XIX secolo attraversarono l’Oceano per misurarsi con le sorprendenti rovine romane

Per i pittori americani il viaggio in Italia fu considerato, com’era almeno da tre secoli nell’ambito della storia dell’arte europea, una condizione formativa indispensabile...

[A]nche per i pittori americani il viaggio in Italia fu considerato, com’era almeno da tre secoli nell’ambito della storia dell’arte europea, una condizione formativa indispensabile.

Era questo un retaggio che risaliva ai tempi del Rinascimento, quando per i pittori del Nord era considerato irrinunciabile misurarsi con i reperti delle antiche civiltà e con l’arte del nostro Paese, che ne aveva colto, attraverso straordinarie rielaborazioni, il lascito. Il genere del paesaggio, del resto, era nato proprio a causa della discesa di maestri fiamminghi, nel confronto con i colleghi italiani attorno al tema delle rovine eloquenti collocate all’interno della natura. Ma, mentre i francesi avevano iniziato un confronto paesaggistico dal vero, nelle proprie terre, diradando l’accesso al Grand tour, gli americani continuarono la consuetudine.
Le suggestioni colte dagli artisti, accanto alle rovine, in ambienti che divengono trasognati e metafisici, sono intense. Thomas Cole si muove nella campagna romana attorno agli anni Quaranta dell’Ottocento. Nell’Urbe, colpito dall’eloquenza delle architetture e dal vincolo della storia, egli concepisce l’idea di creare cinque quadri che, attraverso la rappresentazione dello stesso paesaggio, illustrino, nel divenire, il culmine e la caduta di una grande civiltà.
Cropsey stabilisce la propria residenza a Roma nel 1848 e dipinge vedute con rovine, inserite in un’atmosfera incantata, tipica della pittura di matrice romantica. Gifford, in Italia dal 1868, rimanendo affascinato dalla morbidezza delle luci mediterranee, realizza paesaggi nei quali la terra, l’acqua e il cielo si fondono.
Le opere di George Inness, considerate nell’arco di un ventennio, mostrano il percorso compiuto dall’artista, che nel 1852 giunse nella Penisola praticando una pittura molto dettagliata di matrice settecentesca e che si aprì, nel suo secondo soggiorno italiano, tra il 1870 e il 1874, ad esplorazioni che toccarono le atmosfere del paesaggismo tedesco – dominato da una visione romanticamente misteriosa della realtà -, fino a raggiungere uno stile più attento alla luce e ai dati atmosferici.
Dobbiamo tenere conto che al tempo, in Italia, i dipinti dei Macchiaioli erano già diffusi e che il 1874 è l’anno della prima esposizione impressionista. E questo ci fa comprendere i motivi di una sensibilità nuova nei confronti dell’elemento luminoso.

 Jasper Francis Cropsey,  Il Tempio di Nettuno a Paestum
Jasper Francis Cropsey,
Il Tempio di Nettuno a Paestum

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