Nella splendida collezione della pittura italiana conservata nell’ala Denon del museo Louvre, gli unici due quadri di pittori bresciani esposti, sono l’“Ecce Homo” di Bartolomeo Montagna (cfr: Stile numero 94) e la “Madonna col Bambino” di Girolamo Romanino. Potrebbe apparire un numero esiguo ma, ricercando un po’ più a fondo, ci si renderebbe conto che vi sono numerose opere bresciane non esposte, ma custodite nei depositi del museo: due tavole di un polittico, due tele e circa novanta disegni. Se questo ancora non colpisse, sarebbe opportuno soffermarsi sulla peculiarità del Louvre, ossia il carattere assolutamente enciclopedico del museo stesso, la cui collezione non si concentra sulla pittura o sull’Italia, ma spazia dai sarcofagi egiziani alle maschere africane, dalle giottesche testimonianze degli albori della pittura italiana ai pregiati mobili dell’appartamento di Napoleone III. Si può dire, insomma, che i sovrani francesi ed i direttori del museo che si sono susseguiti nel corso dei secoli, non siano rimasti indifferenti ai maggiori esponenti bresciani, tra i quali, oltre ai già citati Montagna e Romanino, compaiono Savoldo, Moretto, Muziano e Gambara.
Un interessamento alla pittura bresciana tutt’altro che recente, visto che una tela di Savoldo, catalogata oggi come “Autoritratto”, ma meglio nota col nome di “Gaston de Foix” (una scheda dedicata all’opera è pubblicata in questo numero, nelle pagine nazionali), era presente già nella collezione di Francesco I attorno al 1530. Fu uno tra primissimi quadri d’ambito veneziano ad essere acquistato dal sovrano, grazie all’intermediazione di Pietro Aretino (1492-1556), uno dei principali corrispondenti di Francesco I in Italia. Il quadro, nato all’interno di una disputa sulla superiorità della pittura rispetto alla scultura, rappresenta un uomo la cui immagine viene vista contemporaneamente da più angolature, grazie ad un ricercato gioco di specchi e di riflessi. Passiamo a un altro dipinto che, ritenuto per lungo tempo un Savoldo, è il ritratto di Bernardo di Salla, che oggi si tende ad attribuire a Giovanni Francesco Caroto.
Per quanto riguarda il Moretto, da uno scambio con il museo di Brera risalente al 1812, giungono in Francia due tavole da un polittico che originariamente si trovava nella chiesa di Santa Maria degli Angeli, a Gardone Val Trompia. Raffigurano l’una i Santi Bernardino da Siena e Ludovico da Tolosa e l’altra i Santi Bonaventura e Antonio da Padova. Inoltre, fino al 1997 i depositi custodivano una “Visitazione del Moretto”. La tela è stata restituita ai legittimi eredi dopo che, durante l’occupazione nazista del territorio francese, i proprietari di origine ebrea erano stati costretti ad una vendita forzosa. Divenuta parte della collezione di Goering, tornò nel dopoguerra in territorio francese e passò al Louvre.
Alquanto recente, del 1984, è l’acquisizione della “Madonna col Bambino” del Romanino, raffigurante Maria in un ambiente pastorale, seduta su di una roccia. Nel catalogo dei depositi del museo parigino, in relazione alla città di Brescia si trova anche una interessante “Tabula Cebetis” del XVI secolo, il cui autore rimane a tutt’oggi anonimo. Raffigura, in senso allegorico, la vita, vista come arduo percorso verso la Saggezza che risiede in una rocca sopra una cima. Il cammino, definito da un percorso all’interno di tre cinte murarie, è reso più difficile dalle seduzioni dei Vizi, della Fortuna e delle False Opinioni. Nel Dipartimento delle stampe e dei disegni si segnalano, infine, due disegni del Moretto, tre di Savoldo, otto di Montagna, undici di Gambara e circa sessanta disegni eseguiti o attribuiti a Girolamo Muziano, tutti visibili all’indirizzo: http://arts-graphiques.louvre.fr/, cliccando su ouvres ed inserendo il nome dell’artista nello spazio apposito.