La pittura su marmo o ardesia è piuttosto rara, ma preziosissima negli effetti. La rarità delle opere dipinte su pietra, a livello di grandi figurazioni, discende soprattutto dal peso del materiale lapideo, molto superiore a quello di una tavola di legno o di una tela. Le tele, dipinte e lasciate asciugare perfettamente potevano essere arrotolate, per il trasporto e tirate sul telaio, una volta giunte a destinazione. L’ardesia e il marmo hanno pesi elevati, specie quando, come avvenne per Tiziano o Sebastiano del Piombo, si lavorò su dimensioni piuttosto ampie, in gara virtuosistica con le tele stesse. Inoltre, soprattutto le grandi lastre di ardesia sono piuttosto fragili e richiedono particolare attenzione durante il trasporto.
A questa particolare tecnica pittorica, che fu utilizzata in Italia, pur in modo episodico, anche da grandi artisti, il museo del Prado ha dedicato indagini tecniche, in correlazione con il restauro, e studi finalizzati a capire il motivo per il quale gli artisti scelsero di utilizzare anche questo supporto. Il lavoro è poi confluito nella mostra – In lapide depictum, Pittura italiana su pietra 1530-1555, 17 aprile- 5 agosto 2018 – che ha offerto una selezione di nove opere in – ardesia, pietra monocromatica e marmo bianco – di artisti come Sebastiano del Piombo, Tiziano, Daniele da Volterra e Leandro Bassano, che riflette il consolidamento di un cambiamento nelle tecniche artistiche di quell’epoca, avvenuto nei primi decenni del XVI secolo, che vedono l’assestarsi e il diffondersi della pittura ad olio, come tecnica dominante.
L’analisi e la riproduzione della procedura in laboratorio hanno rivelato che il lavoro della pittura su pietra si richiedeva un risolutivo intervento sul supporto lapideo, realizzando un’imprimitura con una miscela di olio, resine e cera fusa. La presenza di resine, al di là dell’aderenza, testimonia il fatto che le terre e gli ossidi dei colori in polvere venivano trasformati in smalti preziosi.
Ma perchè gli artisti sperimentarono anche il supporto lapideo? Esistevano suggestioni, che venivano dal mondo classico, che offriva gli esempi degli antichi non solo nella colorazione delle statue, ma nella realizzazione di preziosi pannelli pittorici su supporti lapidei. Il marmo, correlato all’archeologia, era inoltre un elemento dotato di una notevole nobiltà architettonica e proiettava il pittore stesso in una dimensione che entrava in gara con il tempo e con la fine individuale.
Non solo era – come hanno sottolineato gli studiosi del Prado – l’elemento dominante delle rovine, ma emergeva anche attraverso i sorprendenti ritrovamenti di lastre contenenti le forme di animali fossilizzati, che tanta impressione destavano tra la gente, essendo ritenuti, da alcuni, testimonianze della Creazione, mentre altri pensavano che avessero natura demoniaca. Ma esistono anche motivi di virtuosismo tecnico – dare vita a un materiale architettonico, attraverso la pittura ad olio, molto ricca di luce -, e soprattutto di effetto, come avviene nell’Ecce Homo di Tiziano – nella creazione, nello stesso dipinto, di aree più “smaltate”, altre soffuse, apposte sfumando e altre ancora, con un materiale dato a lume – tempera mista a olio, attraverso l’uovo – che, stesa quasi a secco in alcune parti dell’opera stessa suscitano l’idea della diversa porosità della pelle, nelle sue parti più secche e nelle altre più unte e, pertanto, compatte e lucide.
La pietra levigata consente di ottenere effetti preziosi di mutamento della superficie, considerato il fatto che nelle parti dotate di più fine levigatura, l’assorbenza quasi sparisce e il colore della pittura si protende all’esterno, come luce pura e subisce minori sprofondamenti cromatici, nel tempo, mentre in aree più scabre esso si presta a pennellate con diverse micro-assorbenze, che permettono di ricreare, con il massimo effetto di realtà, la porosità della pelle.
A questo proposito, giustamente, gli studiosi del Prado sottolineano l’attrazione esercitata sui pittori dell’effetto di diversa incidenza della luce – permessa dalla pietra ben lavorata con il colore – sulla superficie dell’opera. Ciò consente, specie a Tiziano, varianti infinite e tendenti a un vero assoluto, nella texture della pelle o nella capigliatura dove attraverso un minuscolo pennello gli è possibile, con una facilità maggiore rispetto ad altri supporti, “tirare” dall’alto al basso ogni ciocca, ogni singolo capello, dotandolo dell’ondulazione voluta, senza staccare mai il pennello.
Nel sedicesimo secolo Venezia condusse un rinnovamento di tecniche e materiali artistici incoraggiati dal recupero del mondo classico, dall’arrivo di materiali provenienti dall’Oriente e dalla pubblicazione di testi greco-romani che descrivevano l’arte del passato. La stabilità della pietra stimolava gli artisti, che desideravano creare opere eterne, per usarlo come supporto per la pittura. Permise anche a loro di dimostrare la loro maestria – la procedura era considerata segreta – e di riprodurre effetti suggestivi, controllando il riflesso della luce sulla sua superficie. Infine, divenne oggetto di due accesi dibattiti: la mimesi – il rapporto tra arte e natura – e il paragone – la competizione tra pittura e scultura.
Il marmo e il lapis specularis (intonaco selenitico) erano materiali molto apprezzati nel mondo classico per la loro capacità di assorbire e riflettere la luce. Il marmo bianco, resistente e buon ricevitore dei pigmenti, era associato alla pelle degli dei.
Plinio ha spiegato nella sua Storia Naturale (I secolo) che in natura ci sono linee nitide e scene riprodotte nelle opere d’arte dovrebbe simulare la visione di un mondo un po ‘evanescente, come se osservata attraverso un “lapis specularis” . Ha collegato la pietra all’effetto del famoso atramentum, la vernice utilizzata da Apelle – pittore greco del IV secolo aC. C con cui Tiziano si misurava costantemente per ammorbidire i colori delle sue opere.
La possibilità di dipingere su pietra era conosciuta nel XVI secolo, perché la tecnica degli artisti greci veniva trasmessa attraverso le botteghe medievali. Teseo e il Centauro, trovato ad Ercolano nel XVIII secolo, è uno dei pochi esempi conservati di pittura classica su marmo. Non è certo che gli artisti veneti conoscessero questo tipo di lavoro, ma Plinio e Vitruvio, i cui testi furono tradotti e diffusi da Venezia già nel quindicesimo secolo, li descrivevano.
La scultura classica ispirò Tiziano per tutta la sua carriera. Visse a Venezia circondato da antichi marmi e conobbe le migliori collezioni archeologiche del suo tempo. Con l’Ecce Homo ha rinnovato l’immagine tradizionale delle icone bizantine ricreando l’anatomia degli dei e degli atleti classici, nonché le superfici consumate dell’antica statuaria. Quest’ultimo risultato è stato ottenuto rendendo la lavagna parte dell’immagine visibile.
Nell’Ecce Homo si riflettono alcune delle teorie greco-romane sul colore: la tavolozza sobria, l’atramentum, i venustas e la modifica dei toni se sovrapposti su una base scura.
Tiziano diede l’Ecce Homo a Carlos V, e La Dolorosa fu l’ultimo ordine fatto dall’imperatore. Ha scelto di dipingerlo un frammento archeologico di marmo imperiale. Le vene sul dorso sono ispirate ai colori del porfido e delle pitture parietali romane.
Queste due opere gli permisero di sperimentare con i media con cui non aveva lavorato e di assecondare i gusti devozionali di Carlo V.
Giorgio Vasari ha collegato l’origine del dipinto su pietra con Sebastiano del Piombo. Anche se non ne era lo scopritore fu il primo a ottenere risultati di successo dal 1530. Il background veneziano e la sua rivalità con Raffaello Sanzio a Roma sono stati decisivi nelle loro prove con la nuova procedura, con l’evidente sostegno di Michelangelo.
Trascorse sette anni a dipingere la Pietà e ad usare disegni del suo amico Buonarroti. La preoccupazione del pittore per il trasporto del fragile lavoro, in Spagna, trova eco nella corrispondenza con il suo cliente, Ferrante Gonzaga. Quattrocento anni dopo l’arrivo della lastra in Spagna, durante la guerra civile spagnola, la piastra si ruppe.
Il Cristo con la croce sul dorso è un esempio degli esperimenti del pittore con sfondi scuri e la superficie striata del minerale per creare l’illusione di corpi incastonati nella roccia. Allo stesso tempo, l’artista ha evitato il luccichio della pittura causato dall’illuminazione, un’altra delle sue ossessioni.