D’APRES RODIN. SCULTURA ITALIANA DEL PRIMO NOVECENTO
Roma, Galleria nazionale d’arte moderna
fino al 18 maggio 2014
In concomitanza con la mostra “Rodin. Il marmo, la vita” presso il Museo Nazionale Romano alle
Terme di Diocleziano (fino 25 maggio 2014), la Galleria nazionale d’arte moderna
organizza una mostra incentrata sulla diffusa e trasversale influenza esercitata da Auguste Rodin
sulla scultura italiana dei primi decenni del Novecento, a partire dalla risonanza suscitata dalla sala
personale dell’artista francese presso la Biennale di Venezia del 1901.
Il michelangiolismo filtrato attraverso Rodin costituì, come è noto, un forte impulso al
rinnovamento formale della scultura italiana del primo decennio del Novecento, ma le novità
strutturali introdotte da Rodin nella sua plastica, le relazioni spaziali ed espressive con le quali è
affrontata la figura umana, la poetica del corpo deformato e mutilato sono elementi che daranno i
loro frutti ben oltre gli inizi del secolo, tanto che Rodin è considerato per molti aspetti un
precursore della scultura contemporanea. Non bisogna dimenticare infatti che Umberto Boccioni
trasse l’ispirazione per la sua scultura Forme uniche della continuità dello spazio, icona
dell’avanguardia futurista, dalla visione di L’uomo che cammina all’Esposizione Internazionale di
Roma nel 1911.
La mostra propone opere di scultori italiani in gran parte presenti nelle collezioni della Galleria
nazionale d’arte moderna, fra i quali Medardo Rosso, legato allo scultore francese da sentimenti di
ammirazione e conflittualità; da altre collezioni sia pubbliche che private provengono opere di
artisti che hanno trovato nella plastica di Rodin un modello ispirativo che arriva fino alle soglie
degli anni Quaranta.
Nel primo decennio del Novecento Rodin dominava indiscutibilmente lo scenario della scultura
europea come un gigante con il quale confrontarsi, un passaggio obbligato che bisognava
comunque attraversare per passare oltre. Le numerose partecipazioni di Rodin alle principali
esposizioni italiane esercitarono una decisiva influenza su una generazione di scultori che avvertiva
la necessità di liberarsi dalle formule abusate dell’accademismo, del naturalismo, del simbolismo. La rilettura operata da Rodin di Dante e Michelangelo nella straordinaria Porta dell’Inferno, la
rivisitazione della statuaria antica come fonte vitale per la modernità, costituirono un potente
veicolo di penetrazione all’interno della cultura italiana ancora pervasa da concezioni idealistiche e
nazionaliste e quindi già favorevolmente predisposta ad assorbire le novità del maestro francese.
La selezione delle opere esposte, lungi dall’essere esaustiva, mette in luce confronti e derivazioni
da modelli rodiniani, a partire dai temi danteschi nelle sculture di Carlo Fontana e Domenico
Trentacoste, e dalla diffusione del ‘non finito’ michelangiolesco, spesso privato dell’originaria
componente neo-platonica, inteso come dualismo-contrasto tra il modellato levigato della figura e
la materia scabra, come si può constatare nel monumento a Segantini La Bellezza liberata dalla
materia di Leonardo Bistolfi, nella bellissima serie dei sei Bassorilievi in marmo rosa di Libero
Andreotti, nella Testa di Arturo Dazzi della Galleria d’arte moderna di Roma Capitale, ma anche in
applicazioni meno drammatiche (Trentacoste, Nudo di donna, Quadrelli, Testa di donna)
Nel secondo decennio del secolo, la vasta produzione scultorea del maestro francese continua a
fornire prototipi formali per opere di segno completamente mutato, come nella Lupa di Graziosi,
che replica in una sensuale versione femminile il modello originario dell’Ugolino della Porta
dell’Inferno, o negli Amanti di Prini, rielaborazione in chiave secessionista del più celebre Bacio.
Mentre si affievolisce l’ondata del michelangiolismo e la scultura tende sempre di più verso la
sintesi delle forme, la poetica squisitamente rodininiana del ‘frammento’, del torso, del corpo
senza testa, della figura parziale come opera compiuta, è stata feconda di sviluppi per l’arte
italiana successiva agli anni Dieci e nel primo dopoguerra (Zanelli, Ninfa dormiente; Prini, Torso).
Dopo la guerra, dopo la morte di Rodin nel 1917, il clima culturale e politico italiano, orientato
verso il ritorno all’ordine e alla strutturalità architettonica dei volumi, sembra relegare sempre più
lo scultore francese al XIX secolo. Ma la vitalità della sua scultura sopravvive ancora, tra ricorrenze
e consonanze, nell’assimilazione citazionista, personalissima e geniale, di Arturo Martini.
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Il colosso Rodin e la scultura italiana del primo Novecento
Le numerose partecipazioni di Rodin alle principali esposizioni italiane esercitarono una decisiva influenza su una generazione di scultori che avvertiva la necessità di liberarsi dalle formule abusate dell’accademismo, del naturalismo, del simbolismo.Mostra alla Galleria nazionale d'arte moderna di Roma