di Mariella Omodei
[L’]immagine del Crocefisso, come ben sappiamo, è già ampiamente presente nel Medioevo. Una straordinaria diffusione avverrà però in seguito all’applicazione dei dettati del concilio di Trento (1545-1563), che imporranno ad ogni chiesa la presenza di un crocifisso ligneo “ben esposto”. Ma non mancano precedenti illustri, soprattutto sotto il profilo qualitativo, nel periodo rinascimentale, da quelli più conosciuti realizzati da grandi artisti – quali il Brunelleschi e Michelangelo – a quelli meno noti, che comunque dimostrano il raggiungimento di standard di rilievo. Noti – e fortemente improntati a un intenso realismo, che influenzerà, ad esempio, la pittura del Foppa – i Cristi dolorosi tedeschi, opere lignee molto interessanti non solo a livello artistico, ma anche sotto il profilo della tecnica esecutiva.
I legni utilizzati dagli scultori erano diversi e variavano a secondo della reperibilità delle essenze nelle aree geografiche di provenienza, e ciò anche in funzione delle dimensioni dell’opera e delle preferenze dell’intagliatore o dalle necessità della committenza.
I legni più utilizzati appartenevano alla specie delle latifoglie come il pioppo (Populus sp.), il tiglio (tilia sp.), il noce (Juglans regia) e il pero (pirus communis).
Le dimensioni del Crocifisso mutavano dalle piccole figure da confessionale a quelle ampie da processione o da cappella, sino ai cosiddetti “monumentali”.
La scultura era quasi sempre realizzata su un massello unico centrale al quale potevano essere aggiunti parti come la testa, parte del fondo schiena e parte delle gambe (i polpacci).
Elemento comune, indipendentemente dalle dimensioni della scultura, era l’aggiunta di due masselli intagliati per la realizzazione delle braccia.
Vari erano i modi di fissaggio utilizzati, oltre al collante. E queste differenze erano dettate dalle scelte tecniche operate dalle diverse scuole, dalle aree geografiche e dai mutamenti introdotti nelle diverse epoche.
Attraverso studi e restauri si sono identificati più incastri che vanno dal semplice intervento attraverso l’inserzione di un perno (1) o ranghetta (2) lignea dal braccio alla spalla, che potevano far parte del massello utilizzato per la realizzazione del braccio od erano aggiunti attraverso l’incollaggio dello stesso alle due parti della scultura.
Vi era poi l’incastro definito “a mezzo legno” (3) fissato dal retro della spalla della scultura. Ulteriore incastro era quello di una ranghetta lignea (4) realizzata nel massello del braccio, inserita nella spalla e fissata, oltre che dal collante, da un perno passante, in genere dal retro della spalla del Cristo. Quest’ultimo tipo d’incastro poteva essere a forma non rettangolare ma trapezoidale.
Inoltre vi erano altri incastri definiti “mobili”, che consentivano il distacco dalla croce e la deposizione del Cristo per l’adorazione del Venerdì santo. In Italia non sono numerosi gli esempi relativi a questa tipologia, che si rifà alle Sacre rappresentazioni d’epoca medioevale e che troverà spazio soprattutto negli apparati dei Sacri monti dove le sculture, poste nelle cappelle, sono realisticamente completate con l’inserimento di capelli in crine, che contribuiscono a suscitare, attraverso un realismo intenso, un notevole impatto emotivo.
La rarità di queste opere è dettata anche dal fatto che, nel corso dei secoli, l’utilizzo dei crocifissi ha favorito il degrado e la perdita degli stessi. Inoltre, poiché gli incastri risultavano esteticamente non gradevoli, furono celati in tempi successivi con applicazioni di tela o stucchi poi ridipinti rendendo fisse le braccia della figura e stravolgendo così la peculiarità strutturale del crocifisso. Il movimento delle braccia del Cristo era consentito dalla parte terminale del braccio lavorato in modo che potesse ruotare all’interno dell’incavo della spalla e quindi permettere l’abbassamento delle braccia verso i fianchi (5).