La raffigurazione del demonio in forme mostruose si diffonde nell’arte romanica e gotica unendo elementi derivanti dalla tradizione classica, nordica e orientale.
L’idea di diversità, di rovesciamento dei connotati umani e divini, sta alla base della rappresentazione iconografica del maligno, la cui corporeità assume elementi di esagerazione. Nella cultura cristiana, lo scopo è di impressionare e spaventare i peccatori con le minacce dei tormenti infernali.
Fino al IX secolo circa, il diavolo è effigiato con fattezze umanoidi: è un vecchio piccolo e deforme, oppure un gigante, ma con artigli ai piedi. Qualcosa di simile alle gargouille francesi.
In seguito, comincia ad apparire con maggiore frequenza in vesti animalesche, nel solco dell’immaginario medievale e quasi sempre richiamando in qualche modo serpenti, gatti, lupi, caproni, pipistrelli, talvolta ridisegnati con modalità grottesche.
Di notevole interesse è il ricorso agli elementi formali e strutturali carpiti al mondo degli insetti. E non potevano essere che i pittori e gli incisori del nord Europa, nella loro minuziosa analisi del reale, indagato e dissezionato con la curiosità di un entomologo, ad eccellere in tale particolarissimo filone iconografico, che unisce, appunto, precisione scientifica ed elaborazione visionaria.
Artisti quali Schongauer, Dürer, Bosch, Teniers, Bruegel, Cranach, Grünewald hanno spesso insinuato nelle proprie opere bizzarri e – di volta in volta – raccapriccianti, divertenti, sottilmente inquietanti demoni mascherati da minuscoli invertebrati.
E’ la farfalla – che nelle raffigurazioni classiche rappresenta Psiche e, pertanto, l’anima – ad assumere, a sorpresa, un ruolo di primo piano nella classifica degli insetti più giù gettonati a prestare le proprie sembianze al diavolo. Farfalla che cede al pipistrello, che con il caprone e il gatto nero detiene il primato dell’immaginazione satanica, alcune sue caratteristiche. Le ali variopinte, ad esempio, lievi, coperte di un polvere magica..Con tutta evidenza, i leggiadri lepidotteri pagavano pegno alle accezioni simboliche negative loro riferite, come la bellezza, la vanità, la volubilità, la vocazione all’effimero. Ecco così le coloratissime ali decorare i corpi fluttuanti dei Principi del male, in un contrasto stridente, che non poteva non colpire le corde profonde della fantasia popolare.
Dalle farfalle alle mosche. Il legame è qui più diretto e immediato. La mosca era simbolo non solo del demonio, ma, in generale, del peccato. Né va dimenticato che il nome stesso di Belzebù deriva da Baal-Zebub, ossia “Signore delle mosche”, l’antica divinità siriaca citata dalla Bibbia come responsabile della distruzione e della putrefazione.
Anche i coleotteri ricorrono in questa sub-sezione dell’iconografia del diavolo. La solida, conchiusa rigidità della corazza è elevata al ruolo di forziere mobile e rutilante, custode di chissà quali ignominiosi, inviolabili, innominabili segreti.
Tra le specie di coleotteri, quella maggiormente presente è fuor di ogni dubbio il cervo volante. Come ricorda in una sua interessante ricerca Lucia Impelluso, l’immagine di tale insetto “comincia a fare la sua apparizione nei manoscritti miniati del gotico internazionale, tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo. Ma è soprattutto la pittura nordeuropea del XVI e XVII secolo che lo raffigura, in particolare nelle composizioni di nature morte o in quelle con scene di sottobosco, spesso associandogli un significato negativo, quale icona del male e del diavolo. Ciò è probabilmente dovuto al fatto che nelle culture nordiche il cervo volante era considerato un pericoloso propagatore di incendi mediante tizzoni ardenti che poteva stringere tra le mandibole, e il fuoco era uno dei pericoli più temuti”.
A ciò va aggiunta la palese analogia morfologica con la rappresentazione medievale delle creature demoniache: le lunghissime mandibole, appunto, che s’aprono a dismisura, la sfaccettatura della parte anteriore del corpo secondo molteplici angoli, il colore nero e metallico della livrea, la lateralità dello sguardo, sono tutti elementi che finivano per rafforzare i dubbi e i sospetti del volgo intorno alla vera natura del lucanus cervus.
Da una sorta di mutazione genetica, a metà tra l’ironia e il raccapriccio, del nostro coleottero cornuto, che assume anche le caratteristiche del pipistrelli, altro animale demoniaco per eccellenza, sembra derivare lo stravagante animaletto satanico che ritroviamo ai piedi di un trionfale san Nicola da Tolentino, in un dipinto del 1495 di Vincenzo Civerchio per un polittico conservato alla Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia.
Il diavolino, sconfitto e alquanto abbacchiato, annaspa in una bolla di cristallo che richiama da vicino una teca da entomologo. Civerchio, artista lombardo ma di marcata impronta nordica, si ispirava sovente alle incisioni dei maestri tedeschi, ed in questo caso è persino ovvio il “furto” della spassosa invenzione di Schongauer per le Tentazioni di sant’Antonio. (fer.)
Il diavolo nella pittura – I travestimenti di Satana nell'arte e nell'immaginario
Quando le creature infernali vengono rappresentate da pittori e incisori sotto forma di insetti. Mosche, cervi volanti, colorati lepidotteri. Un bestiario meraviglioso, inquietante ed ironico. Dalle farfalle alle mosche. Il legame è qui più diretto e immediato. La mosca era simbolo non solo del demonio, ma, in generale, del peccato. Né va dimenticato che il nome stesso di Belzebù deriva da Baal-Zebub, ossia “Signore delle mosche”, l’antica divinità siriaca citata dalla Bibbia come responsabile della distruzione e della putrefazione.