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Cari maschi, noi pittrici vi faremo a pezzi. Squarci di storie di donne nella pittura


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artemisia

di Anita Loriana Ronchi

“Stile” ha intervistato Alberto Cottino, direttore del Museo Accorsi di Torino che curò la mostra “La donna nella pittura italiana del Sei e Settecento. Il genio e la grazia”.

x_8Com’è nata l’idea di operare una riflessione sulle diverse realtà femminili del Seicento e del Settecento, anche attraverso il dialogo con le opere di grandi maestri?
Non è mai stato fatto niente del genere, a parte forse una mostra in America trent’anni fa. Comunque non in Italia. E le poche cose fatte riguardavano soltanto le donne pittrici. Credo che sia importante invece visualizzare come la donna veniva vista e approfondire il clima dei secoli diciassettesimo e diciottesimo, quindi l’epoca dell’Ancien Régime. Mi riferisco ad un arco temporale che va grosso modo dal 1580 al 1779. Esso corrisponde al periodo dell’età moderna in cui le donne sono meno valorizzate; eppure, è proprio in questo momento che vengono poste le basi per il loro riscatto, che poi si verificherà a partire dall’Ottocento. Le donne erano represse dalla società, non potevano avere carriere lavorative, si bruciavano le streghe. Ma, essendo il Seicento il primo vero secolo dell’età moderna, è qui che vanno individuati i semi che germoglieranno dopo la Rivoluzione francese.


Anche i più recenti orientamenti della storiografia stanno procedendo ad una “revisione” del Seicento, considerato a lungo e ingiustamente come un secolo oscuro. Sembra quindi che la sua mostra, analizzando il fenomeno sul piano squisitamente artistico, vada in questa direzione.
E’ così. Abbiamo rintracciato più di venti pittrici tra Sei e Settecento, alcune famosissime, come Artemisia Gentileschi, Sofonisba Anguissola, Lavinia Fontana, Elisabetta Sirani. E poi altre meno note, come Orsola Maddalena Caccia, che si rivela con tre dipinti strepitosi; una paesaggista che nessuno conosceva, Maria Luigia Raggi, e tanti altri quadri inediti, fra cui le nature morte di Elisabetta Marchioni e Margherita Caffi. La rassegna si basa sulla riscoperta delle opere e delle pittrici, e offre tanti spunti di discussione. Credo che un dato emerga dalla panoramica: la grande qualità di queste artiste. Penso ad Orsola Caccia, che dipinge nature morte stupefacenti, o alle ritrattiste. Anche Rosalba Carriera fu in mostra, con due quadri che arrivano dagli Uffizi. L’aspetto più interessante è dato però dalle pittrici meno celebrate. Di Maria Luigia Raggi non si conosceva il nome, ma soltanto le opere: si riteneva fossero di un collega maschio, noto come il Maestro dei Capricci di Prato. Un’altra scoperta è quella che riguarda Giulia Lama, una pittrice veneziana di cui esponemmo la “Decollazione di Sant’Eurosia”, un quadro sacro molto forte: la santa ha la testa già tagliata, c’è parecchio sangue che scorre ed è un quadro, per così dire, molto “maschile”.


Qual è la visione delle donne che si rifletteva nei quadri dei pittori maschi dell’epoca?
I pittori maschi, tutto sommato, non si distaccano dall’ipocrisia dominante. Vivono infatti in una società dove le donne sono ufficialmente ben viste, protette in famiglia dal mondo esterno. Le opere d’arte riflettono questa visione, con l’aggiunta dell’erotismo e di un grande spirito voyeuristico. Molti quadri hanno un sottofondo erotico, anche quando si tratta di temi sacri, e rimandano a un senso di contemplazione della donna un po’ morboso. Nel mio saggio pubblico filastrocche popolari, le quali indicano le donne come oggetto di piacere, in una società in cui però le stesse dovevano essere teoricamente protette dagli uomini. Pensi che solo a Venezia, che nel Cinquecento era una città di 100mila abitanti, c’erano 11mila prostitute, il 10 per cento dell’intera popolazione! E’ la dimostrazione di un’enorme dicotomia, che emerge anche nei quadri. Abbiamo dei dipinti “mascherati”, che esprimono in realtà soggetti erotici. Tutta la casistica che siamo riusciti a proporre in un centinaio di opere va dalla donna vista in maniera seria e competente alla nobile cui abbondano i vestiti e i broccati, alle donne del popolo e alla donna denudata, spogliata in tutti i sensi. Esponemmo il famoso “Ratto d’Europa” di Guido Cagnacci, dove in realtà Europa è uno straordinario corpo femminile nudo visto in primissimo piano, accarezzato dagli sguardi vogliosi dello spettatore. Molti di questi quadri sono già conosciuti, ma abbiamo cercato di dare una nuova interpretazione, anche alla luce di quanto dice la letteratura. Un altro tema importante è la stregoneria che si riflette nella“Strega” di Salvator Rosa, nella “Maga” di Francesco Furini, e nella “Circe” di Giaquinto. Mi sono chiesto perché gli autori ne fossero ossessionati in questo modo. Del resto, anche nella letteratura è presente la zingara, cioè la donna vista come “colei che inganna”. Le “zingarate” o “cingaratte” o “zingaresche” erano rappresentazioni che si facevano a corte. Dalla zingara alla strega il passo è breve.