Pregevole e nobile è l’istinto del cane che vigila il proprio padrone, lo protegge, lo custodisce, ne condivide le gioie e i dolori, senza abbandonarlo mai. Tradizionalmente l’animale è associato al concetto di fedeltà (emblematico è il nome con cui sovente viene appellato, Fido): attende paziente il ritorno del padrone a casa, quando può lo segue ovunque, abbaia impavido contro chi attenta alla sua sicurezza. In ambito evangelico l’immagine del cane conserva questo significato: è il simbolo dei missionari fedeli a Cristo e degli apostoli che accompagnano il Signore nel suo errare, non si separano mai da lui, ne condividono le sofferenze, i patimenti. E sembrano dotati di un fiuto particolare che permette loro di discernere la virtù dal vizio, il bene dal male.
Ancora, il cane è l’intrepido e temerario guardiano pronto a difendere la Chiesa dalle insidie del Maligno, che si aggira nelle tenebre; è metafora della fedeltà cieca e incondizionata dell’uomo all’Altissimo.
Nella maggior parte dei dipinti, specie quelli a carattere devozionale – ma non mancano citazioni del genere, anche nell’ambito della pittura profana -, l’animale non rappresenta un semplice complemento scenografico, ma costituisce un indicatore di segno finalizzato al condizionamento della raffigurazione stessa.
![G.B.MORONI, Ritratto di Gian Federico Madruzzo, 1560 ca., olio su tela, cm. 201,9 x 116, 8, Washington, National Gallery of Art](https://stilearte.it/var/www/vhosts/stilearte.ithttpdocs/wp-content/uploads/2014/07/Moroni-II-1.jpg)
Risale al 1579 l’opera in cui Moroni ritrae Gian Federico Madruzzo, nipote di Cristoforo, principe-vescovo di Trento nonché organizzatore del Concilio. Il soggetto, a figura intera, addita un cane da compagnia seduto accanto a lui, alla nostra destra, nel dipinto: evidente l’intenzionalità aristocratica dell’artista, che allude contemporaneamente al ruolo dell’effigiato, fedele all’illustre parente, e a quello dello zio, servus ecclesiae. Nell’opera di Filippino Lippi, Tobiolo, diretto verso casa e tenuto per mano dall’arcangelo Raffaele, è scortato dal suo devoto cagnolino, che pare esprimere la propria felicità per il ritorno del padrone. Emblema della fedeltà, oltre al cane, è il girasole.
![Alessandro Magnasco, Autoritratto con girasole](https://stilearte.it/var/www/vhosts/stilearte.ithttpdocs/wp-content/uploads/2014/07/girasole-Magnasco-girasole-II-150x150.jpg)
Fra i primi dipinti del Magnasco si annovera il ritratto di Gentiluomo col girasole (incerto l’anno di esecuzione, che comunque viene fatta risalire alla fine del Seicento): l’iconografia, tipica dell’epoca, fu dettata dallo stesso committente, intenzionato ad esprimere in tal modo l’assoluta devozione e sudditanza nei confronti di un superiore, cui probabilmente l’opera era destinata.
![](https://stilearte.it/var/www/vhosts/stilearte.ithttpdocs/wp-content/uploads/2018/04/van-dick.jpeg)
A testimoniare il valore simbolico del girasole, che si volge sempre al re degli astri, i motti pubblicati nel Mundus Symbolicus di Filippo Piccinelli (1687): “Hoc lumine vivo (Protectio & dependentia)”, “Non san questi occhi miei volgersi altrove”, “E da lui pendo, e mi rivolgo a lui”. Simbologia che ricorre anche in due quadri di Van Dyck: l’Autoritratto (1633), in cui viene usata per manifestare la propria riconoscenza al sovrano d’Inghilterra, e il Ritratto di sir Digby, commissionato da un cortigiano che auspicava di ottenere, attraverso questa dichiarazione visiva della sua devozione per il re, una prestigiosa posizione a corte.
![A, Van Dyck,Sir Kenelm Digby,1630 ca.,olio su tela, cm 91,5 x 71, National Maritime Museum, Greenwich, London. Caird Fund](https://stilearte.it/var/www/vhosts/stilearte.ithttpdocs/wp-content/uploads/2014/07/girasole-Van-DyCk-Sir-II-831x1024.jpg)
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