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Un’ampia vetrata che sostituisce un muro intero, le pareti dello studio dipinte di grigio per contemperare, in assorbenza, l’elevata luminosità della stanza. Nonostante ciò che appare una scarsa attenzione ottica, nei quadri di Cézanne – artista più attento a definire i piani geometrici della realtà e la sua struttura profonda -il pittore l’artista non abbandona, nemmeno nella maturità le regole delle pittura iconica e dell’impressionismo. Dipinge en plein air – tanto che la pleurite mortale sarà causata dall’esposizione alla pioggia, nel corso della prima stesura del dipinto – rifinisce nell’atelier, concepito per ottenere le condizioni di luci dell’esterno, ma in un punto discosto, protetto dal sole che creerebbe l’incupimento dei valori cromatici.
Cèzanne amò questo studio, sulla strada in collina,discosto dall’abitato di Aix en Provence poichè qui poteva realizzare tre condizioni indispensabili: l’assoluta solitudine, spazi ottimizzati per la pittura e l’abbraccio visivo della montagna Sainte-Victorie, il massiccio totemico di roccia,che muta colore nel corso del giorno e che appare all’orizzonte con la forza di una divinità, spesso oggetto dei suoi dipinti.
L’edificio dello studio di Cézanne, oggi di proprietà dell’Università di Aix en Provence, come una casa museo conserva intatti arredi e utensili del maestro, dai cavalletti alla piccola statua che appare nella natura morta, i cassettoni, i punti di appoggio per le celeberrime mele. Restano persino appesi al muro impermeabili e cappotti che il maestro indossava durante i giorni di pioggia e di freddo, nei quali, come si diceva, non rinunciava a dipingere en plein air, finendo poi il lavoro in studio, come Monet.
Ciò che colpisce nella visita e nel documentario che vedremo tra poco è il fatto che la rivoluzione cézanniana – molto orientata ala ricerca della struttura nascosta della realtà, che avrebbe portato, tra l’altro, alla nascita del Cubismo – avvenga nel pieno rispetto dei valori cromatici e luministici del suo studio. Egli appare dunque più un rilevatore attento alla realtà – in approfondimento, nel rispetto, persino, dei riverberi tonali della stanza – che un sovvertitore.
Cézanne aveva modellato attorno a sé gli spazi dell’edificio. ” Ecco il mio studio – scriveva il primo settembre 1902, scriveva alla nipote Paule Conil – “la piccola Marie ha pulito il mio studio che ora è terminato e dove mi trasferisco poco a poco…”
“Nessuno vi entra tranne me; ma poiché siete un amico, ci andremo insieme.” aveva detto al collega Emile Bernard, due anni dopo.
La testimonianza di Emile Bernard: “Aprì un portone di legno. Penetrammo in un giardino il cui pendio andava a morire in un ruscello; pullulava di ulivi, in fondo c’erano alcuni abeti. Sotto una grossa pietra, prese una chiave e aprì la casa nuova e silenziosa che il sole sembrava voler cuocere… Al primo piano, la sala da lavoro era un grande locale di color grigio, illuminato da nord, da una fonte naturale all’altezza dell’appoggio… Era all’opera su una tela che rappresentava tre teschi su un tappeto orientale. Su un cavalletto meccanico che aveva appena fatto installare, vi era ancora una grande tela di donne nude che facevano il bagno… Sulla parete dello studio, oltre alle tele di paesaggi che asciugavano senza cornice”.
Entriamo con un video nel magico atelier di Paul Cézanne ai piedi della montagna sacra
Ciò che colpisce nella visita e nel documentario che vedremo tra poco è il fatto che la rivoluzione cézanniana - molto orientata ala ricerca della struttura nascosta della realtà, che avrebbe portato, tra l'altro, alla nascita del Cubismo - avvenga nel pieno rispetto dei valori cromatici e luministici del suo studio. Egli appare dunque più un rilevatore attento alla realtà - in approfondimento, nel rispetto, persino, dei riverberi tonali della stanza - che un sovvertitore.