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Il New York times ha aperto la propria edizione web con un ricordo intenso del fotografo Malick Sidibé, nato 1935 o nel 1936 in Mali e morto lo scorso 14 Aprile 2016. Da un lato il grande quotidiano emericano sottolinea, politicamente, il valore della cultura nera per il mondo; contemporaneamente celebra un fotografo conosciuto come il piccolo Giotto della macchina fotografica. Figlio di contadini del Mali; faceva il pastorello; fin dai primi anni d’età, e aveva una grande passione per il disegno e utilizzava il carbone per disegnare le proprie opere. Un topos che, secondo la tradizione, divideva con Giotto, colui che portò la pittura italiana dal greco al latino. Per le sue capacità e per la sua acutezza, fu il primo membro della sua famiglia a frequentare la scuola, dopo essere stato scelto dal capo del villaggio per essere inviato a un istituto di bianchi, a Yanfolila per una formazione. Durante il suo primo anno di frequenza si occupò di disegno e fu incaricato di documentare ufficialmente, con i suoi lavori grafici, gli eventi ufficiali o di realizzare consone decorazioni. E ‘stata la sua abilità nei disegni a carboncino che ha attirato molta attenzione nei confronti del suo talento e ha portato alla sua selezione per la Scuola di sudanesi Artigiani nella capitale Bamako. In questa istituzione formativa, è stato notato prima dal fotografo Gérard Guillat-Guignardand, che è diventato il suo mentore e dal quale, attraverso la stretta osservazione e la pratica, Sidibé ha imparato l’arte della fotografia.
Nel 1955, Sidibé ha intrapreso l’apprendistato presso di Guillat-Guignard Photo Service Boutique, noto anche come Gégé la pellicule. Nel 1956 acquista la sua prima macchina fotografica, una Brownie Flash , e nel 1957 diventa un fotografo a tempo pieno, aprendo un proprio studio (Studio Malick) a Bamako nel 1958. Si è specializzato in fotografia documentaria, concentrandosi in particolare sulla cultura giovanile della capitale del Mali. Sidibé ha scattato fotografie in occasione di eventi sportivi, raduni di ragazzi in spiaggia, incontri in discoteche, grandi concerti. Fu noto per i suoi studi in bianco e nero della cultura popolare, influenzato da una forte aderenza alla propria matrice disegnative. Il balzo internazionale lo fece grazie a Françoise Huguier che lavorava con André Magnin, un curatore che era stato mandato in Africa occidentale da un collezionista francese, Jean Pigozzi , nel 1990. Da quel momento le sue fotografie sono state presentate in mostre e pubblicazioni. Didibé è stato il primo africano e il primo fotografo ad aver ottenuto il Leone d’Oro alla carriera alla Biennale di Venezia (2007).