Paul Klee: Il paradiso della pittura

Così il giovane Klee definiva l’Italia al termine del lungo viaggio di formazione nel nostro Paese. Un viaggio segnato da incontri decisivi con i grandi maestri, come ci rivela il suo epistolario di recente ripubblicato


di Stefania Mattioli

[P]aul Klee arriva in Italia nell’ottobre del 1901. Ha ventidue anni ed è in compagnia di Hermann Haller, suo compagno di studi. Ha da poco lasciato l’Accademia di Monaco dove frequentava – insieme a Kandinskij – il corso di pittura di Franz von Stuk. I suoi interessi sono molteplici: oltre al disegno e alla pittura è dedito alla poesia, alla botanica, alla letteratura classica, al teatro.
Klee è curioso, desideroso di conoscere, comprendere non solo la realtà che lo circonda ma anche se stesso, l’autenticità della propria vocazione. Anela a sperimentare le proprie attitudini per individuare il giusto percorso da seguire. Quando giunge in Liguria – la prima meta – è ancora molto giovane, fugge dal destino di musicista professionista – “un martirio” – che i suoi genitori (anch’essi musicisti) avevano da tempo scelto per lui: solo ciò che è proibito lo rende felice.

Klee (a sinistra)  con Haller a Roma, 1902
Klee (a sinistra)
con Haller a Roma, 1902

L’esperienza italiana segna nel profondo la sua formazione, egli stesso ancor prima di partire sente che sarà “decisiva”. E’ anche per questo che durante il soggiorno nel Belpaese annota sistematicamente tutto ciò che vede. Registra sensazioni, aneddoti, ricordi, riflessioni sull’arte e sull’esistenza. Lo fa sia nelle pagine dei diari sia attraverso una fitta ed intensa corrispondenza (Lettere dall’Italia, Archinto) con Lily Stumpf, la fidanzata segreta che nel 1906 diviene sua moglie.
Sono lettere spontanee dove trapela con autenticità il suo pensiero fatto di dubbi, incertezze e amore verso la persona che per la prima volta ha saputo “entrare visceralmente dentro di lui”. Egli dà prova di una “curiosità intellettuale stupefacente”, ci rende edotti delle esitazioni e dei progressi che accompagnano la sua ispirazione creativa. Offre così l’opportunità al lettore di conoscere intimamente l’artista e l’uomo, di comprenderne le scelte:“Quanto più diventavo grande, tanto più ero infelice”; ecco che venne “il tempo di arrivare in Italia per trovar riparo da un’inerte (ancorché savia) rassegnazione”.
Klee è tutt’altro che rassegnato. Vivide e argute sono le descrizioni di Genova dove “ogni cosa appare inondata da una luce accecante”. Il porto, le navi gigantesche, l’operosità inaspettata degli scaricatori che lo fa vergognare della sua “oziosità”.
Per Klee “il tempo diviene prezioso”, soprattutto per indagare se stesso: “In tutto questo risplendere mi sono accorto di quanta malinconia e apprensione mi sia trascinato di buon grado attraverso il San Gottardo. Quanto più imparo e quante più cose accolgo in me, tanto più preziosa mi diviene la vita”. Un viaggio dunque che è sì scoperta estetica e formativa ma soprattutto un’esperienza introspettiva che lascia il segno.

Paul Klee, Con la lampada a gas
Paul Klee, Con la lampada a gas

Oltre ad essere incuriosito dai frutti di mare “che stranamente si possono mangiare”, è colpito dagli alti palazzi di Genova, dall’attività frenetica che ruota intorno all’ambiente portuale al quale attribuisce un valore sociologico: “Qui si ha modo di studiare la nostra civiltà moderna senza entrare in un museo”.
Poi arriva a Milano, la Pinacoteca di Brera dove “il Cristo arditamente scorciato di Mantegna” lo affascina, anche se è il Cenacolo di Leonardo a rivelargli “un genere di bellezza del tutto peculiare”. Riflette sullo “strazio” derivato dalle molte opere del maestro andate in rovina “giacché da quest’uomo sono venute le prestazioni più alte nell’arte pittorica”.
Dopo un viaggio in mare raggiunge Roma, e rimane subito affascinato dalla grandezza della capitale, di cui non riesce “a raccontare tutto”. Qui lo attendono il Vaticano, la Cappella Sisitina, le Stanze di Raffaello (che hanno su di lui “l’effetto di una bastonata”), i Musei Capitolini, la raccolta di sculture paleocristiane di San Giovanni in Laterano. Entusiasta, Klee afferma che è proprio a Roma che “cominci a capire due civiltà del passato: l’Antichità e il Rinascimento”. E’ estasiato dal godimento che gli procurano le opere classiche: girovagare per le strade, i palazzi, le rovine lo fa sentire “felice”; apprezza la propria solitudine come non mai. Al punto da impiegare tutto il tempo di cui dispone per osservare e rimandare ad un altro momento il lavoro vero e proprio: il disegno.
L’impatto con Michelangelo è “devastante”. Se la Pietà passa davanti ai suoi occhi “quasi senza lasciar traccia”, è attratto dallo “spirito che è insito” negli affreschi. Ammira la capacità del maestro di rendere credibili posture “impossibili”, anche se avverte “nelle accentuazioni della modellazione” tracce di barocco che egli “odia”.
Raggiunto a gennaio da un secondo amico, Schmoll von Eistenwert (“che ha fama di squisito paesaggista” e da cui spera di imparare in materia di arti grafiche), Klee visita pure Firenze e Napoli, dove “ogni respiro è felicità”.

Vergine (sognante), opera eseguita da Klee poco dopo il rientro dal viaggio in Italia
Vergine (sognante), opera eseguita da Klee poco dopo il rientro dal viaggio in Italia

Viene sedotto dalla pittura di Botticelli, “che, seppur nella vigorosa caratterizzazione, è riuscito a cogliere il profumo e la grazia della realtà”. La Primavera lo sorprende perché “del tutto diversa da come la immaginavo”. Paragona Botticelli, “sempre nuovo e audace”, a Tiziano, che a suo parere “non ha l’importanza che la storia dell’arte e i riguardanti ingenui gli attribuiscono”; in lui vede solo “bellezza celestiale” che non “cade sullo spirito”. Al contrario, la scultura di Donatello è “ineguagliabile”. E ancora, il Battesimo di Andrea del Sarto è per Klee “istruttivo” al punto da costituire un esempio a cui ispirarsi (“tenterò di dipingere dei fondi così”).
Il viaggio in Italia, finanziato dalla famiglia, rappresenta per Paul l’opportunità di tagliare “alcuni fili che mi legano al passato e tornare a me stesso senza la minima gratitudine”. Un viaggio che è occasione per riflettere sulla propria tecnica pittorica e il proprio metodo creativo. E’ qui che decide di abbandonare l’olio in favore della sola tempera, “alla quale pian piano mi vado abituando”. Il suo scopo è subordinare il colore alle finalità del disegno, ritenuto peculiare. Il disegno per essere efficace deve essere realizzato a memoria, “la sola maniera di creare”. Certo le difficoltà sono maggiori: rispetto alla copia dal vero, per ottenere degni risultati e non cadere nell’errore, è necessario esercitarsi nell’osservazione, fare proprie le forme, riprodurle più e più volte sino ad arrivare ad una sintesi espressiva originale.
A Villa Borghese si trova a riprodurre la corteccia di un albero: “Sto imparando alcune cose” scrive, “ ma questo non può essere fine a se stesso”. Ciò che conta è fare propria la linea, assoggettarla a leggi simili a quelle del corpo umano. Non a caso desidera studiare l’anatomia alla stregua dei medici. Solo così “sarò padrone di tutto”, ossia proprio della capacità di disegnare a memoria. In fondo
– sostiene -, “dipendere da modelle volgari ed incolte potrebbe svalutare il lavoro dell’artista”. L’accento cade di continuo sugli aspetti disegnativi e grafici della composizione, mentre il colore viene ritenuto un’aggiunta decorativa. Il contenuto per Klee lascia dunque spazio alla forma; egli aspira a rappresentare non ciò che si vede, ma una realtà interiore che nasce da associazioni di fantasia. In sostanza, mira a rendere visibile ciò che diversamente non lo è.
A Roma acquista cornici realizzate con “incomparabile maestria”, e anche questo lo aiuta nel suo compito. La cornice è molto più stimolante e funzionale all’opera rispetto al nudo supporto, ne è assolutamente convinto. I suoi lavori dentro quelle stesse cornici “figurano bene, al punto che paiono fatti da un altro”. Lontano è però il pensiero di rimanere fermo a tale stadio di “imperfezione”: a impedirlo è l’etica d’artista, a cui Klee tiene fede.
Giunto il momento di lasciare l’Italia, è dispiaciuto ma consapevole di aver trovato “nell’arte antica un paradiso”: qui è tornato forte in lui “il rispetto per lo spirito umano, anche se tristemente le sue vestigia appartengono al passato”.
Di questa esperienza, oltre a ricordi e insegnamenti, porta con sé una collezione di fotografie di opere antiche “costata una fortuna”: quasi a voler imprimere indelebilmente nella memoria ciò che gli sarà indispensabile per divenire il Paul Klee della maturità, osannato e riconosciuto come uno fra i più illustri rappresentanti della pittura del Novecento.

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