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Il raviolo rivelato. Gualtiero Marchesi racconta il suo monumento



di Gualtiero Marchesi

La realtà visibile intesa come successione di piani. Piani che scivolano l’uno sull’altro, quali velari di palcoscenico, cortine di nebbia che si schiudono palesando panorami finora sconosciuti. L’idea di un universo scomponibile in pannelli, da sfogliare a guisa di carte da gioco, ha affascinato molti pittori. Ed ha affascinato, da sempre, anche me. Chi segue questa rubrica avrà certo notato la mia reiterata “ossessione” per l’equilibrio della forma. “Ossessione” che traspare nella rilettura di grandi capolavori dell’arte figurativa. “Ossessione” evidente, anche e più che mai, nei miei piatti più conosciuti. Si pensi – per fare un esempio – al “Riso, oro e zafferano” (“Stile” 42, ottobre 2000). O – ancora – al “Riso mantecato ai tartufi bianchi e neri”, di cui parleremo molto presto. O al “Raviolo aperto” di questa pagina. Dove i piani, costituiti da pasta agli spinaci, verde, e da pasta bianca, si diffondono in armonia, derapando sul tappeto di salsa morbidamente densa, acquisendo, nel loro adagiarsi, una sorta di placida matericità. Equilibrio di forme: ed equilibrio cromatico.
A ribadire la “necessità” di una grammatica estetica da cui non è possibile, a mio giudizio, prescindere. E di cui la foglia di prezzemolo, schiacciata dapprima con il coltello sino a scomporne la nervatura, e quindi incorporata nel diafano tessuto della pasta fresca, risulta esempio paradigmatico, nella sua assoluta, calligrafica silhouette di straordinaria potenza evocativa. Avverto, in questa mia creazione – che considero tra le più riuscite -, quasi un’eco musicale. Se dovessi cercare un riferimento in pittura, penserei a certe opere di Santomaso. Il quale pure amava indugiare sulla sovrapposizione di piani che andavano a spaiarsi per via centrifuga; e se ne stava sempre con l’orecchio teso a captare reconditi accordi, vaganti per lo spazio. Perché considerava un quadro un pochino come una partitura; lui che disse un giorno: “L’unica forma che lascio collaborare al di fuori dei valori formali è la musica”. Ecco: allo stesso modo, io credo al primato dell’armonia delle forme. Al primato di quelle note suadenti che danno anima alle cose, e ai profili, e ai colori, e ai profumi, e ai sapori. E che fanno luce nei misteri più custoditi e bui: come un raviolo che, finalmente aperto, ci rivela senza riserve il suo cuore segreto.