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N’tra’ stu frastuernu ti sueni
e ticchi ttacchi
mi perdu li jenti
comu rizzu nt’allu paisi
e mi zziccu cu tutti li forzi
allu zzipparieddu finu finu
ti na speranza
[In questa antinomia di suoni
e ticchettii
frastornato come un daino in città
mi aggrappo all’esile vessillo
di una flebile eppur tenace
speranza.]
– Gaetano Tommasi
Ogni tanto capita di imbattersi in un personale universo figurativo – oggi un genere in corso di rivalutazione – scandito secondo una particolare sintassi compositiva che va al di là di qualsiasi virtuosismo, aneddoto o mero compiacimento illustrativo. Sono scene della vita e personaggi di ogni giorno, da amici, colleghi e parenti, a nature morte – messe in evidenza con una grande vigoria plastica e una solida impostazione volumetrica – formulate in una rete di ricordi in cui da un lato s’immerge la memoria dell’artista fino a ripresentarsi nella nitida, lucida e particolare topografia di un dipinto, e dall’altro ricomponendo da quell’osservazione personale un’esperienza universale. Ci troviamo di fronte a immagini che non sono repliche di singole rappresentazioni nella sfera privata del mittente, ma piuttosto soggetti e oggetti di un contenuto veicolato al destinatario tramite reminiscenze, associazioni e sogni collettivi, a mio avviso cifra stilistica inconfondibile di un grande talento in evoluzione.
Gaetano Tommasi, artista salentino autodidatta – qui alla prima congrua verifica del suo percorso – pur attenendosi alla consueta tradizione iconografica del ritratto e della natura morta, mette in evidenza rispettivamente caratteri fisiognomici indagati con grande attenzione e oggetti riproposti nella quotidianità che ci circonda, senza evadere dalla realtà visibile oppure scadere nel virtuosismo della mera replica da ricalco di un vuoto iperrealista. Durante l’esplorazione delle sue immagini, lo sguardo dell’osservatore è guidato da tensioni interne e linee di forza che consentono di percepire un dinamismo anche nelle realtà presumibilmente statiche. Nella ricerca di un’essenza, di una purezza e di una poesia che fissano le sue figure e i suoi oggetti in una sorta di «magica sospensione atemporale», tra le sue opere più rappresentative è chiaramente avvertibile l’influenza della pittura del realismo sociale che richiama il primo Guttuso.
“Mio padre è ed è stato sempre un agricoltore. Da piccolo ha patito (come mia madre) una certa fame. Per crescere me e mia sorella entrambi si sono massacrati a lavorare giornate retribuite una miseria dai latifondisti della zona e in più portavano avanti le proprie colture di vigne e ulivi nei piccoli apprezzamenti avuti in eredità da mio nonno…quindi facevano due giornate in una..”
Con queste parole, Tommasi rende omaggio non solo alle origini della sua famiglia ma anche all’aspra identità culturale della sua terra, il margine meridionale delle Murge tarantine che scendono degradando verso il mar Ionio. E proprio dall’attaccamento alle radici di questa terra, l’artista estrae la linfa vitale delle sue opere senza sconfinare dai limiti oggettivi, contingenti in una sorta di dimensione atavica e immanente. Il ritratto del padre – uno scavo introspettivo reso con un coagulo cromatico dai toni cupi e liricizzanti che si compenetrano sui solchi e sulle rughe profonde del volto – connota un’autentica e sofferta meditazione e solidità compositiva che ravvisano sia la presenza di una condizione emotiva nell’intonazione assorta e dolente, sia l’assenza o la reminiscenza di un ambiente che ne determina la causa e la forza intrinseca del segno.
Il ductus delle pennellate dense e pastose dei ritratti di Tommasi si sposa con le rappresentazioni degli oggetti stessi, ossia con le nature morte rese grazie a un «materismo» che costituisce l’ordito fondamentale delle sue tele – un impasto di cromie scure – dove la materia pittorica rende più pesanti i soggetti isolati nella loro matericità: una matrice comune sembra convalidare entrambi figure umane e oggetti. In questa sorta di densa corposità plastica l’artista riveste le sue nature morte di una forma altamente poetica e avvincente, spesso tuttavia demistificandone le componenti allegoriche di «vanitas» che alludono alla precarietà dell’esistenza e all’inesorabilità del trascorrere del tempo, come lui stesso ironicamente afferma:
“Sono i resti e gli avanzi insomma tutto un mischione di cose deperibili una metafora di quello che siamo noi relazione alla morte alla quale dovremmo pensare più spesso…”
L’artista della scuola di Barbizon, Jean-François Millet, dichiarava che in qualsiasi dipinto di un paesaggio si rivelasse la presenza di un uomo, e vice versa, in qualsiasi dipinto di un uomo si rivelasse quella di un paesaggio. Parallelamente, in quest’ottica, Tommasi sembra inglobare nei rapporti di spazio delle figure umane – costantemente raffigurate all’interno di ambienti privi di collegamenti esterni – una realtà geografica circostante e invisibile che ne conferisce possibili affinità elettive con la sua terra. Ed è proprio grazie all’imprevedibilità degli accostamenti tra i vari segmenti delle sue opere che l’artista riesce a conferire alla sua figuratività una ragion d’essere, innescando meccanismi di reazione tra l’assenza di esterni e la stabilità – spesso frontale e costretta in spazi angusti – di ritratti che connotano occasioni di incontri emozionali con le sue tematiche. Gli uomini e le donne, spesso isolati, non interagiscono tra loro ma si trasformano in proiezioni di una coscienza interiore, espressioni commisurate al tempo della memoria.
Se la figura femminile donna si ritrova ad essere tuttora interpretata come oggetto da possedere e da esibire, come simbolo tra sesso e potere, le donne dell’artista salentino esibiscono una sensualità non comune, conservando nella loro struttura formale la tranquillità, il nitore classico, la solidità compositiva e una classicità che richiama idealmente a concetti di analisi della conoscenza e del benessere della vita: siamo di fronte a esecuzioni forbite di “Veneri” colte nell’intimità, dalle stabili immagini materiche dove il corpo femminile è definito nella sua semplice nudità. Si materializza una realtà mai sfacciatamente fotografica, priva di corporeità banalizzata o apertamente esibizionista, bensì una realtà poetica, condivisa fra autore e spettatore.
Attraverso lo specchio fedele della sua pittura, dei suoi sentimenti e dei suoi fantasmi interiori, le opere di Tommasi – nella maggioranza figure immobili in stato di attesa, spesso tratti da spunti fotografici dell’autore stesso – appaiono come esseri umani incapaci di comunicare e chiusi dentro spazi vuoti dove solo la presenza di un dettaglio (come ad esempio quella di un origami, delle foglie di una pianta o di un frutto) offrono, in chiave autenticamente attuale, l’unico spunto simbolico di un percorso mentale che inconsciamente rivisita l’eredità e la tradizione del figurativo moderno – da Renato Guttuso a Lucian Freud. Grazie a una sobria tavolozza dai toni sempre freddi, unitamente a un gioco prospettico volutamente elaborato da una semplice geometria, Tommasi crea degli uniformi campi cromatici focalizzati soprattutto su quella che si potrebbe definire una pittura che supera l’arte come visione contemplata per far risuonare in noi autentiche emozioni commisurate al tempo storico.
Pittore dotato di rara sensibilità e autore fecondissimo, Gaetano Tommasi conferma il suo debutto nel versante della pittura figurativa contemporanea, comunicando un senso di appartenenza a un intemerato classicismo e a una eredità stilistica che a partire dal secondo Novecento ha fatto della figura, della solidità compositiva e della forza cromatica un campo universale d’applicazione simboleggiando in assoluto la genialità dello spirito umano.
BIOGRAFIA
Gaetano Tommasi è nato a Lizzano (Taranto), vive e lavora a Modena. Dal 2011 inizia ad approfondire la pittura in modo sistematico e più organico, pur essendosi sempre dedicato al disegno, con colori a tempera e gouache come autodidatta per molti anni. Inizia a frequentare corsi per la tecnica e l’uso del colore ad olio.Per alcuni anni frequenta vari atelier, confrontandosi con i rispettivi maestri per comprendere le composizioni dei colori, i loro significati e i modi d’uso. Il confronto più importante è stato con il maestro e amico Federici di Casalmaggiore (CR) con il quale il confronto, tuttora in atto, si è esteso agli aspetti interiori e più personali e profondi della pittura.
Di recente ricerca la ricerca oltre che sul piano individuale si esplica anche attraverso un serrato confronto con i membri del Gruppo Gelba di cui è stato uno dei fondatori insieme ad Ersilia Leonini Luigi Tamanini , Barbara Antonelli e Andrea Federici.
Il gruppo condivide la ricerca sul figurativo nello specifico della figura umana.
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