La realtà tragicomica di Venere e Vulcano. L’opera del tradimento dipinta da Tintoretto
di Maurizio Bernardelli Curuz
La scena letteraria delle origini – poi sviluppata, come accade in numerose varianti – è presente nell’Odissea, il libro dell’antichità classica. Vulcano è un gran lavoratore, molto ricco – grazie ai proventi della sua rinomata fucina – ma sgradevole alla vista, giacché la sua pelle ha il colore malato di chi vive esclusivamente di lavoro e il suo corpo è vistosamente segnato da una malattia infantile che ha limitato i movimenti degli arti inferiori. Eppure questo proto-industriale che vive tra i fumi, ma ama il bello, ha impalmato la donna più conturbante dell’Olimpo, Venere in persona. E ciò con grave rischio.
Vita e letteratura sono ricche di episodi attraverso i quali il destino sembra infierire su chi tenta di costruire un legame nuziale duraturo, nonostante un’evidente differenza di età, pur se anni e difetti fisici possono essere compensati dagli agi conseguibili con il denaro. Ma osserviamo il modo straordinario con il quale, quasi in una gag del teatro di vaudeville, il “regista” Tintoretto mette in scena l’episodio, discostandosi dal classico dettato di Omero per dischiudere l’ideale sipario su una quinta tragicomica, che potrebbe, rinviare il ricordo di certe soluzione boccaccesche, così da trasformare l’episodio stesso in un racconto che si presta ad essere diffuso sulla base dell’attualità.
L’artista veneto sottrae la scena agli edifici olimpici, calando il tradimento in un palazzo che non avremmo esitazione a definire borghese. L’unico elemento che rinvia apertamente a una via sovrannaturale è la presenza dell’amorino-figlio, che dorme nei pressi della finestra, rendendo peraltro il tradimento, che si è svolto alla presenza di un innocente, ancor più grave. Qui il pittore non allestisce il marchingegno spaventoso che Vulcano, insospettito dall’assidua presenza di Marte, il dio della guerra che ha sempre manifestato autentiche affinità elettive con Venere – con la quale costituisce una sorta di unità degli opposti, attraverso la compensazione amore e violenza, bellezza e forza, coraggio e dolce arrendevolezza -, aveva preparato come trappola alla moglie infida e per il di lei amante, una “tela” metallica allestita per catturare i due nel corso del rapporto sessuale. Leggiamo a questo proposito il passo omerico, nella traduzione augusta del Pindemonte. E’ scritto nell’Odissea: ”Vide partir l’egregio fabbro, e, sempre/ nel cor portando la di vago serto/ cinta il capo Ciprigna alla magione/ del gran mastro de’ fuochi in fretta mosse./ Ritornata di poco era la diva/ dal Saturnìde onnipossente padre/ nel coniugale albergo; e Marte, entrando,/ la trovò che posava, e lei per mano/ prese, e a nome chiamò: “Venere”, disse, / ambo ci aspetta il solitario letto./ Di casa uscì Vulcano; altrove, a Lenno/ vassene, e ai Sinti di selvaggia voce”.
Tintoretto non va oltre, dove ci porterebbero le successive sequenze omeriche. Non descrive gli amanti invischiati nel terribile meccanismo della cattura e di pena all’interno del quale vengono esposti al ludibrio degli dei, i quali, chiamati nella stanza da letto, invece che comprendere le ragioni del marito tradito lo deridono pubblicamente.
L’artista veneto narra invece di un caso privato a cui spetta l’esemplarità della definizione universale del tradimento erotico, all’interno del quale gli spettatori – siano essi uomini o donne – possano essere in grado di proiettare le proprie colpe e i propri desideri. L’allestimento scenico delineato da Tintoretto coglie soprattutto il punto di vista psicologico del marito tradito. E’ solo da un’accurata osservazione della scena, infatti, che è possibile scoprire, anche grazie all’indicazione di un minuscolo cane che abbaia furiosamente all’intruso, la presenza del dio della guerra, l’elmo in testa comicamente nascosto sotto il letto.
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Il tradimento in pittura – Venere, Marte, Vulcano e il cane di Tintoretto
L’allestimento scenico delineato da Tintoretto coglie soprattutto il punto di vista psicologico del marito tradito. E’ solo da un’accurata osservazione della scena, infatti, che è possibile scoprire, anche grazie all’indicazione di un minuscolo cane che abbaia furiosamente all’intruso, la presenza del dio della guerra, l’elmo in testa comicamente nascosto sotto il letto.