Il vetro di pietra. Il lapis specularis nel mondo romano: dall’estrazione all’uso. Grotta della lucerna

I Romani ne facevano ampio uso, destinando alla sua estrazione persino i bambini, gli unici a potersi infilare anche nelle cavità più strette. Lo usavano principalmente per chiudere le finestre di edifici pubblici o privati, ma anche per altri utilizzi come serre, alveari o lettighe.



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Il recupero di una lastra di lapis specularis, in una cava, e la sua trasparenza lattea, resa ben visibile dall'uso della fiamma
Il recupero di una lastra di lapis specularis, in una cava, e la sua trasparenza lattea, resa ben visibile dall’uso della fiamma

Il lapis specularis è un minerale brillante la cui caratteristica principale è quella di sfogliarsi in strati sufficientemente sottili da fare passare la luce, presentando quindi le medesime caratteristiche del vetro. E’ un altro materiale rispetto al cosiddetto cristallo di rocca, minerale costituito da una varietà di quarzo purissimo, perfettamente incolore e trasparente, che veniva dall’epoca tardo antica e al Rinascimento, intagliato per realizzare gioielli o scavato e inciso per ottenere contenitori – soprattutto brocche -dall’elevatissimo valore e dai presunti effetti magici.  Il cristallo specularis, pur presentandosi anche in blocchi, ha una superficie di sfaldamento stretta e verticale, che consente di recuperare soprattutto lastre e lastrine.
I Romani ne facevano ampio uso, destinando alla sua estrazione persino i bambini, gli unici a potersi infilare anche nelle cavità più strette. Lo usavano principalmente per chiudere le finestre di edifici pubblici o privati, ma anche per altri utilizzi come serre, alveari o lettighe.
Plinio, nella Naturalis Historia (XXXVI, 160-161) indica le principali cave di lapis nel bacino del Mediterraneo: Turchia, Tunisia, Cipro, Spagna e Italia, in Sicilia ed in prossimità della città di Bologna.
“A seguito delle recenti scoperte effettuate nella Grotta della Lucerna situata nel Parco della Vena del Gesso, poi identificata coma una cava di lapis, la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna e il Parco della Vena del Gesso Romagnola hanno prima promosso un convegno internazionale a Faenza (26 e 27 settembre 2013) e poi allestito a poca distanza dal Monte Mauro (dov’è ubicata la Grotta della Lucerna) la mostra “Il vetro di pietra. Il lapis specularis nel mondo romano: dall’estrazione all’uso”, esposizione che ha riscosso l’interesse di un pubblico curioso ed eterogeneo. – dicono gli esperti della Soprintendenza dell’Emilia Romagna.

Una lastrina recuperata dalla cava di gesso e di lapis specularis è stata lavorata ricavando un reettangolo che consentirà di montarla accanto ad altre la lastre per realizzare un arcaica finestra di "vetro di pietra"
Una lastrina recuperata dalla cava di gesso e di lapis specularis è stata lavorata ricavando un reettangolo che consentirà di montarla accanto ad altre la lastre per realizzare un arcaica finestra di “vetro di pietra”

L’esposizione di Zattaglia è stata poi allestita  a Borgo Tossignano.
“Tra i reperti esposti spiccavano quelli rinvenuti nella Grotta della Lucerna: frammenti di brocche e piccoli contenitori ma soprattutto un notevole numero di lucerne, alcune delle quali integre o parzialmente frammentate, che si datano dalla prima età imperiale alla tarda antichità – dicono gli archeologi della Soprintendenza dell’Emilia Romagna – Accanto a queste è stata rinvenuta una moneta dell’imperatore Antonino Pio (138- 161 d.C.). Un altro gruppo di materiali si riferisce alla scoperta presso Cà Carnè di un edificio di età romana ( I sec. d.C) realizzato in legno e argilla. La sua insolita posizione, in un’area non votata all’insediamento, e i numerosi materiali archeologici rinvenuti al suo interno, anche di una certa qualità, permettono di ipotizzarne un utilizzo legato allo sfruttamento delle cave di lapis specularis. La mostra ha esposto gli oggetti rinvenuti all’interno della struttura crollata dopo un incendio: olle, coppe e bicchieri in ceramica, una zappa in ferro, un dado in pietra e un frammento di lamina in bronzo argentato, raffigurante forse una divinità.
Una porta realizzata, nell'ambito dell'archeologia sperimentale, con lastre di lapis specularis
Una porta realizzata, nell’ambito dell’archeologia sperimentale, con lastre di lapis specularis

Completavano l’esposizione una selezione di materiali rinvenuti nel territorio del Parco, tra cui segnaliamo un bollo laterizio molto raro e una selezione dei materiali rinvenuti all’interno della Grotta dei Banditi, dall’età protostorica al Medioevo.
La mostra è stata integrata da una nutrita serie di materiali ricostruttivi che sono stati donati per l’occasione alla Soprintendenza dagli archeologi spagnoli dell’Equipo Lapis Specularis intervenuti al convegno di Faenza: si tratta di alcuni indumenti propri dei cavatori, realizzati in sparto, una fibra tenace che tuttora cresce nella Meseta spagnola, di riproduzioni di lastre in lapis, di ceramiche e altri oggetti utilizzati nella vita della cava e dei cesti che servivano per il trasporto del materiale estratto.
Accanto a queste riproduzioni troviamo anche quelle realizzate dal Gruppo Speleo Gam Mezzano, oltre ai calchi delle pareti e delle nicchie della cava della Lucerna”.
 
L’intera vena del gesso era un comparto minerario della Roma Imperiale, circostanza attestata anche da Plinio il Vecchio che nella sua Historia Naturalis indica nella “Bononiensi Italiae parte breves” uno dei pochi luoghi di estrazione insieme a Cipro, Turchia, Tunisia, Sicilia e soprattutto la Spagna Citerior, cioè l’area attorno alla città di Segobriga.
Nella Grotta della Lucerna sono perfettamente visibili le “tracce” del lavoro dei cavatori (minatori): nicchie per lucerne, ancoraggi per funi e carrucole, alloggiamenti per pali, sostegni dove posare le ceste o appoggiarsi poter scavare più comodamente, scivoli, gradini, sistemi di movimentazione del materiale estratto e di trasporto in superficie. Ma sentiamo, dalle parole degli studiosi la ricostruzione della scoperta
“Nell’inverno 2005, a poca distanza dalla cava, in località Ca`Carnè, è stato poi scoperto un piccolo edificio di età romana, di circa 81mq. La sua insolita posizione, in un’area non votata all’insediamento, suggerì indagini archeologiche più approfondite che appurarono come l’edificio era stato costruito nel I secolo d.C. e abitato per circa un secolo, subendo anche una consistente ristrutturazione che ne aveva ampliato l’estensione. L’edificio utilizzava come fondazioni il banco di gesso, aveva il tetto in tegole e coppi, e la struttura realizzata con pareti in mattoni di argilla cruda e pali portanti in legno. L’ubicazione e i numerosi materiali archeologici rinvenuti al suo interno, anche di una certa qualità, fanno ora ipotizzare un suo utilizzo legato allo sfruttamento delle cave di lapis specularis.
La Vena è costituita da un lungo affioramento gessoso che si estende in direzione nordovest–sudest, dall’imolese fino a Brisighella, per circa 25 chilometri nel quale sono state esplorate fino ad oggi oltre 200 grotte per uno sviluppo complessivo che supera i 40 chilometri. Non tutto l’affioramento può essere utilizzato per estrarre lapis specularis: requisiti fondamentali ricercati dai romani per ottenere lastrine ad imitazione del vetro erano la dimensione dei cristalli (almeno alcuni decimetri) e una perfetta trasparenza”.
“Numerose fonti scritte parlano del lapis specularis nell’antichità – affermano alla Soprintendenza dell’Emilia Romana – La maggior parte dei documenti risale al I-II secolo d.C., epoca in cui questo minerale inizia ad essere impiegato su larga scala.
Oltre a Plinio il Vecchio, ne parlano Isidoro di Siviglia e alcuni passi di Filone, Seneca, Columella, Petronio, Marziale, Giovenale, Plinio il Giovane e Ulpiano. In epoca tardo antica l’uso è testimoniato da Lattanzio, Girolamo e Basilio di Cesarea e da alcuni documenti epigrafici, tra cui l’Edictum de pretiis di Diocleziano.
Nella Historia Naturalis, Plinio, elenca chiaramente i differenti luoghi d’estrazione del lapis specularis: “…Et hi quidem sectiles sunt, specularis vero….Hispania hunc tantum citerioe olim dabat…et Cipros et Cappadocia et Sicilia et numper inventum Africa..et in Bononiensi Italiae parte breves…” ( Plinio, Nat. Hist., XXXVI, 45, 1 – 9)
Dunque Cipro, Turchia, Tunisia, Italia -vicino a Bologna e in Sicilia- e soprattutto Spagna, in particolare la Spagna Citerior, nell’area attorno alla città di Segobriga.Due tipi di indicatori archeologici hanno permesso di identificare con certezza la Grotta della Lucerna come una cava di lapis specularis: i segni estrattivi e i materiali archeologici. Per quanto riguarda i segni estrattivi, sono evidenti le tracce lasciate dall’estrazione sia nella grotta che sui manufatti; si pensi ad esempio a scivoli e gradini che agevolavano il lavoro nella cava e trovano confronto in situazioni meglio conosciute come quelle spagnole.
I materiali archeologici finora rinvenuti all’interno della cava (ricordiamo che le indagini sono ancora in corso) indicano un excursus cronologico piuttosto ampio che inizia nella piena età imperiale per arrivare sino alla tarda antichità: si tratta in particolare di alcuni esemplari di lucerne, di cui una integra che ha dato il nome alla cava, frammenti di vasellame di varia natura e di una moneta di Antonino Pio.
Nel 2005 alcuni lavori realizzati nell’area di Cà Carnè, all’interno del Parco della Vena del Gesso Romagnola, hanno portato alla casuale scoperta di un edificio rustico di età romana. La struttura era stata costruita nel corso del I secolo d.C. e fu abitata per circa un secolo, subendo anche una consistente ristrutturazione che ne ampliò l’estensione. L’edificio ha utilizzato come fondazioni il banco di gesso e presenta tutta la struttura realizzata con pareti in mattoni di argilla cruda e pali portanti in legno. Il tetto era in tegole e coppi.

La sua insolita posizione, in un’area non votata all’insediamento, e i numerosi materiali archeologici rinvenuti al suo interno, anche di una certa qualità, permettono di ipotizzarne un utilizzo legato allo sfruttamento delle cave di lapis specularis.
La Vena del Gesso Romagnola è costituita da un lungo affioramento gessoso che si estende per circa 25 chilometri in direzione nordovest–sudest, dall’imolese a Brisighella: fino ad oggi sono state esplorate oltre 200 grotte, per uno sviluppo complessivo che supera i 40 chilometri. Non tutti questi affioramenti possono essere utilizzati per estrarre lapis specularis: i requisiti fondamentali ricercati dai romani per ottenere lastrine a imitazione del vetro erano la dimensione dei cristalli (almeno alcuni decimetri) e la perfetta trasparenza.
Se da un lato la presenza della vena del gesso ha agito come fattore limitante per l’agricoltura o il pascolo, dall’altro ha favorito lo sfruttamento minerario di lungo periodo, dall’età romana ad oggi, tradizionalmente legato in primis all’uso della selenite come materiale da costruzione e, una volta cotta e macinata, come legante o intonaco.
Le cave e le fornaci da gesso, presenza abituale nel paesaggio locale, hanno avuto sino alla metà circa del XX secolo un impatto ambientale tutto sommato ridotto sui quadri paesistici, salvo poi diventare negli ultimi decenni, complice la meccanizzazione e l’aumento vertiginoso dei volumi estratti, uno dei principali problemi per la salvaguardia dei gessi romagnoli.
Ma il binomio gesso-comunità residente non si è esaurito solo sul piano economico-produttivo. L’estrazione del gesso nella Vena, radicata secolarmente, ha infatti avuto sino al recente passato importanti riflessi sociali (i mestieri tradizionali del “gessarolo” e del fornaciaio, ma anche i birocciai specializzati nel trasporto del minerale), fino a divenire parte integrante dell’identità locale e un fatto culturale, sia immateriale che materiale: basti pensare alla particolare venerazione attestata a Brisighella per San Marino, patrono dei cavatori, oppure al cospicuo patrimonio archeologico industriale dell’area (cave e fornaci ottocentesche e novecentesche).
Oggi, chiusa la maggior parte dei siti estrattivi della Vena del Gesso, il profondo legame tra la comunità locale e l’attività estrattiva è ormai declinato al passato e rischia di indebolirsi. Una delle sfide dei prossimi decenni sarà proprio il mantenimento di tale memoria e il recupero, la musealizzazione e la divulgazione delle emergenze culturali connesse al gesso: in questo contesto, il Parco Regionale della Vena del Gesso Romagnola assumerà necessariamente un ruolo centrale
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Stile Arte è una pubblicazione che si occupa di arte e di archeologia, con cronache approfondite o studi autonomi. E' stata fondata nel 1995 da Maurizio Bernardelli Curuz, prima come pubblicazione cartacea, poi, dal 2012, come portale on line. E' registrata al Tribunale di Brescia, secondo la legge italiana sulla stampa