[S]otto la luce di Giotto, grazie alla forza irradiante del suo magistero che aveva indicato la svolta definitiva in direzione di un’arte che si misurasse con la realtà, si sviluppò nel Trecento, tra l’arenile adriatico e le rive del Rubicone, una scuola di notevole importanza che operò nell’ambito di un realismo elegante, tra solidità del vero e una pittura sontuosa, attenta allo sviluppo dei tracciati narrativi, intensa tanto nella descrizione della verità brutale quanto nell’effusione del sentimento. La miscela che portò alla nascita della scuola di Rimini fu composta, appunto, dalla luce qui lasciata da Giotto, dalla vivida corte malatestiana e da una consistente comunità francescana.
Dicevamo che Rimini, capitale della dinastia dei Malatesta, agli inizi del Trecento era città ricca e vivace, tanto da richiamare maestri come Giotto e da creare le condizioni per l’“esplosione” di una scuola che fu attiva in loco ma che si impose anche altrove. Furono i Francescani a invitare Giotto a Rimini, e furono sempre loro a commissionare a Giovanni Baronzio l’opera principale per la chiesa di un convento tra i più significativi per l’Ordine Mendicante, quello di Villa Verucchio, appunto, non lontano dalla città. Tale opera doveva, con la sua imponenza, celebrare i Malatesta e sottolineare la permanenza nel monastero dello stesso san Francesco.
Con il proprio capolavoro, Baronzio descrisse la storia della Passione di Cristo. Tutti i momenti dei racconti evangelici vi erano rappresentati secondo un modello teologico preciso. Il suo resta un esempio altissimo di “pittura narrante”, una sapiente predica francescana per immagini.
Tra le maggiori opere di destinazione pubblica da lui eseguite, oltre al dossale di Villa Verucchio (1330 circa), quello con Storie del Battista, che si presume dipinto tra il 1330 e il 1340. Intorno al 1340, l’artista venne incaricato della realizzazione della pala dell’altare maggiore di Santa Colomba, l’antica cattedrale riminese. Punto di riferimento per la sua biografia è il 1345, anno in cui firma e data il polittico conservato nella Galleria Nazionale delle Marche a Urbino, proveniente dal convento di Macerata Feltria.
Un altro documento, databile entro il 1362, informa che Baronzio era già morto, così come il fratello Deutacomando e il figlio Comando. La loro sepoltura è indicata nel cimitero della chiesa di San Francesco, ossia di uno dei principali centri religiosi della città, a confermare un particolare legame con il potente ordine francescano.
Si chiudeva così il capitolo fondamentale della scuola riminese.
La bellezza e la peste: Baronzio e i fulgori riminesi
In mezzo secolo, seguendo il magistero del grande Giotto, la città dei Malatesta fu centro di una scuola che si distinse per un elegante realismo. Poi la meteora si spense nel fango della peste.