La misteriosa scomparsa dell'Atleta tiratore di Angelo Righetti

L’opera doveva essere collocata allo Stadio dei marmi di Roma, ma non arrivò mai a destinazione. E che fine hanno fatto le sculture donate dalla sorella dell’artista al Comune di Brescia con il vincolo che fossero esposte in permanenza?



Angelo Righetti, Atleta tiratore. Nel 1930, la scultura fu inviata a Roma, ma non vi giunse mai

Da vent’anni, dodici sculture di Righetti sono lasciate ai ragni delle cantine; nel 1930 non venne consegnata una sua statua che doveva rappresentare Brescia nello stadio dei marmi di Roma… Che dire? Se non si ripete l’evangelica sentenza del nemo propheta in patria, allora dev’essere la congiura dell’anno bisesto. Angelo nacque il 29 febbraio 1900. Oppure la città non ama questo figlio che le ha dato lustro con duecento opere – monumenti e ritratti di uomini eccellenti -, che ha disegnato fregi per campane, arricchito chiese, coniato medaglie per avvenimenti ufficiali e persino progettato una minuscola cappella.

L’incipiente “inverno del nostro scontento” fa ritornare la memoria a vent’anni fa, quando la sorella di Righetti (che, mortificato da un ictus, aveva chiuso la sua vita nel 1972, dopo un lungo calvario) fece il bel gesto di donare alla città dieci opere – le uniche rimaste – dello scultore. Elda si consultò, prima di formalizzare l’offerta. Quelle crete e i bronzi avevano il valore attribuito dal mercato e dalla critica? Da persona squisita, temeva di far brutta figura e di apparire solo interessata a imporre sugli altari il congiunto. La tranquillizzarono tutti – studiosi, mercanti e amici -, inquadrando le opere nel panorama artistico del secolo. La pietra raffigurante Le Comari era stata assai apprezzata alla Biennale del 1930. Testa di donna (1932) rispondeva all’esortazione di Carlo Belli, profeta dell’astrattismo: “Quando vedremo gli artisti bresciani accettare i suggerimenti del loro temperamento anziché quelli dell’accademia?”. Vecchio (Fra Giorgio) e il giovane Giacomino, unitamente a una terza scultura (L’avvocato Feroldi), tutte esposte alla XX Biennale, ripercorrevano, in meravigliosa sintesi, la senilità, la fanciullezza e la maturità: tre stagioni della vita, da cogliere nell’espressività del ritratto. Allora a Venezia approdavano, timidi, Mastroianni e Manzù. Non doveva avere dubbi, Elda.
La forza espressiva del fratello scultore usciva anche dal profilo di una persona poco conosciuta come Geo Renato Crippa. Di quel bergamasco, tanto abile da trasformare in nome di battesimo – Geo – pure il diploma di geometra, aveva colto l’indole, nello sguardo evanescente. Regina della Mostra del ritratto femminile di Roma e della Permanente di Milano era stata Ninetta, bronzo del ’49, “vestita solo di un nastro nei capelli, pura e nuda come un alberello di primavera”. Opera diversa dal carnoso Nudo di giovane callipigia, del ’54, “trattato con vivacità sensuale”, come scrive Elda Fezzi. No. Elda non avrebbe donato paccottiglia alla sua città, ma oro. Di gran valore artistico (oltre che pecuniario) anche Acrobata e Clown, bronzi del 1955. Rappresentavano un’incursione nel mondo circense e alludevano ai furbacchioni che, per sopravvivere, indossata la casacca del pagliaccio, correvano sul filo o s’erano dati alla giocoleria. Al di là di questo, le due opere erano state lodate per la “scattante ed ilare plasticità” – parole di Giannetto Valzelli – alla Permanente di Milano e alla Rassegna interregionale di Cremona del 1961. Dal Comune di Brescia, il munifico dono fu ben accolto. Poi, passata la festa, grande silenzio.
Elda è morta nel 1991 e le sculture ammuffiscono in un magazzino. In quale deposito sarà invece Il Tiratore? Mi piacerebbe scoprirlo. Siamo nel 1929 e la storia che segue – non nuova – ha dell’incredibile. Le cento città d’Italia sono invitate ad inviare per il nascente Foro Mussolini (poi Stadio dei marmi) una statua d’atleta. Renato Ricci, creatore dell’Opera Nazionale Balilla e ideatore del Foro, desidera soprattutto giovani artisti. Righetti partecipa al concorso insieme a Claudio Botta, Giovanni Asti, Nino Cloza e Pietro Repossi; e, visto che il tiro a segno è specialità bresciana dalla metà dell’800 e che siamo nella patria delle armi, plasma nella creta un giovane nudo che brandisce il moschetto e mette alle sue spalle un fascio di spighe. Virgilio Vecchia, Nino Fortunato Vicari, Alfredo Giarratana e Alessandro Scrinzi, direttore dei Civici musei, sono concordi nell’assegnargli la vittoria. L’opera deve essere mandata a Carrara. Spetta ai toscani ingrandirla nella proporzione di tutte le statue dello stadio.


Angelo Righetti, Testa di donna
Angelo Righetti, Testa di donna

In attesa della spedizione, Righetti ha un ripensamento. Nello studio di via San Clemente, che fu del Moretto, distrugge il bozzetto e crea in gesso un secondo tiratore. Alle sue spalle leva il mannello di grano e poggia un tronco d’albero. L’uomo brandisce nella sinistra il moschetto che scivola lungo la gamba. Il corpo, pieno di energia trattenuta, ruota lievemente come il capo, verso sinistra. La giuria conferma il riconoscimento e apprezza le migliorie. In effetti era eccessiva una guardia armata a un piccolo covone… Il 13 marzo 1930 l’Atleta Tiratore, alto due metri con dieci centimetri di zoccolo e un diametro di un metro, smontato in due parti, viene imballato per la spedizione. I giornali titolano: “Brescia pel Foro Mussolini – Il Tiratore di Righetti in viaggio per Carrara”. In Toscana, però, il Tiratore non è mai arrivato. Men che meno a Roma. Brescia – dissanguata nelle finanze per piazza Vittoria ormai prossima al varo – sicuramente scordò di spedire l’opera. E il povero Righetti, dopo un timido tentativo di ricerca, lasciò correre.
Del resto non ci teneva a mescolarsi con quelli che pagavano un tributo alla bolsa monumentalità del regime. Gli era bastato creare tre opere per le sale del Quadriportico bresciano, progettato da Brusa, distinguendosi dai sette scultori chiamati dal Piacentini a lavorare per la piazza. Mentre la retorica sprizza dai pori di marmo del Bigio, dal bronzo del Mussolini a cavallo, dai leoni di Bigini e di Vigni, dai riquadri dell’arengario del Maraini, il Nostro sceglie la strada sobria e quasi primitiva di Arturo Martini. Con la semplicità adottata dall’artista di Treviso nell’interpretare l’Annunciazione, propone un uomo e una donna, Il Lavoro e L’Agricoltura, che possono essere veramente operai e contadini della Leonessa. E soprattutto toglie l’idea guerriera da Brescia armata, pur lasciando alla donna senza elmo e con i capelli sciolti corazza, scudo e lancia. Ma tornando all’Atleta Tiratore, dove si trova oggi? In quale magazzino? In quale deposito? Chi di dovere vorrebbe farci, per cortesia, ficcare il naso?
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STILE BRESCIA 2008

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