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di Laura Varoli
Come, quando, perché l’Accademia “muore”? Intende rispondere a questi
interrogativi il libro di Concetto Nicosia “ Arte e Accademia dell’Ottocento. Evoluzione e crisi della didattica artistica”, edito d Minerva. Fino al concludere dell’Ottocento, l’accademia rappresenta il fulcro del rapporto tra arte e società, un luogo istituzionale attraverso il quale la cultura dell’epoca riesce ad esprimersi in termini di immagini. Per tutto il corso del XIX secolo le Accademie degli Stati Europei vivono un momento di istituzionalizzazione, in quanto si pongono come centri di potere culturale e politico insieme, strutture modellate dai fondamentali cambiamenti sociali ed economici che sconvolsero il secolo. Nate per gestire l’istituzione artistica, esse rappresentano, per gli aspiranti pittori e scultori del Settecento e dell’inizio Ottocento, una garanzia di fama e di successo, organismi in cui l’insegnamento e la stessa appartenenza ufficiale al ceto degli artisti si costituivano in forma di potere e condizione sociale. Fondate sul sistema corporativo e sorte in difesa di interessi di categoria, le Accademie d’Arte si erano date, fin sul nascere, un’elementare struttura didattica, basata sullo studio del disegno. Tale orientamento rimane per lo più invariato per tutto il Settecento, secolo in cui si assiste alla proliferazione di nuove istituzioni dello stesso genere.
L’insegnamento era normativo e supportato da vincolanti regole: il canone ispiratore degli allievi era la mimesi, ovvero l’imitazione di opere dell’antichità classica o della natura, tese alla ricerca di un ideale estetico assoluto che potesse diventare anche modello etico per la società del tempo. Dall’alto della sua posizione di privilegio, l’Accademia sembra in grado, per molti anni a seguire, di porre un netto rifiuto all’avanzare di posizione alternative, provenienti per lo più dai movimenti d’avanguardia, indifferenti alle limitazioni del sistema didattico e concettuale, giudicato troppo restrittivo e opprimente. Le istanze di rinnovamento, che portarono alla messa in discussione del sistema accademico, compaiono, dapprima in modo sporadico, con la generazione romantica, e assumono, poi, una carica devastante con la crescita della società industriale e la contemporanea richiesta di nuovi modelli in grado di scalzare quelli, ormai, obsoleti, forniti dalle scuole d’arte. E’ importante notare, però, come la crisi evolutiva che tutti gli Stati Europei vivono, chi prima chi dopo, nel trapasso culturale da un secolo all’altro, non mirasse all’abolizione delle Accademie. Il dissenso non riguardava l’insegnamento e i suoi principi fondamentali; non si metteva in dubbio l’essenza metodologica, ancora considerata, da un punto di vista teorico perfetta e quindi, immutabile. Ciò che si criticava, concerneva il funzionamento pratico ovvero il metodo didattico troppo rigoroso e il sistema espositivo troppo rigido. Questi due elementi insieme contribuivano, infatti, ad escludere dall’orizzonte culturale ed artistico i talenti più giovani ed innovatori, portatori di nuove pulsioni e di nuove istanze, in linea con i cambiamenti e con i più aggiornati modelli della vita moderna. Sull’altro fronte, l’accademismo rappresentava il gusto, gli interessi e l’ideologia della classe alto-borghese, che aveva assimilato i valori culturali della vecchia aristocrazia, ormai economicamente decaduta. E’ così – come sottolinea nel suo libro Concetto Nicosia – che l’Accademia entra in crisi: esaurita la sua funzione, proprio nel momento in cui si incrina i nesso arte-società, quando cioè si assiste ad un mutamento del tessuto sociale produttivo, essa non riesce più a rispondere alle nuove esigenze, si mostra avulsa dal contesto contemporaneo, troppo astratta e ancora troppo concentrata su se stessa.
Il primo serio scossone all’autorità dell’Accademia francese viene da Jacques Louis David che, nel 1793, riuscì ad ottenere la soppressione dell’Académie Royale di Parigi, in quanto istituzione “antidemocratica”. Paradossalmente la Francia ( che con l’Académie aveva per prima fornito un modello per gli altri istituti europei) sarà l’ultima ad adeguarsi alle trasformazioni in atto nell’Ottocento. Solo con l’avvento della Terza Repubblica, nel 1870, si ha la nascita dell’Ecole des Beaux-Arts, istituto statale autonomo e autogestito, espressione della nuova cultura. Il ritardo della realtà francese rispetto alle altre in Europa, stimolò il sorgere di un gran numero di scuole private, centri di sperimentazione e avanguardia che, con Napoleone III, sancirono l’inizio del libero mercato d’arte, strappando agli accademici il controllo dell’educazione artistica e delle esposizioni statali. Il filo diretto che unisce la prima scuola di David agli impressionisti connette l’inizio e l’esplosione del processo di negazione dell’arte accademica in Francia. Dopo una breve gestione statale, il Salon passò nelle mani delle corporazioni degli artisti, situazione che determinò la fine delle manifestazioni pubbliche, ormai incapaci di ricoprire un ruolo pedagogico. Più precoce, invece, la Germania, paese in cui il contrasto tra arte ufficiale e arte innovativa avvenne in termini meno violenti. Nel 1830, i Nazareni introdussero un nuovo metodo di insegnamento, basato non più sulla rotazione mensile di tanti docenti, ma sulla presenza di un solo insegnante a seguire la stessa classe per tutto l’anno. Il loro accademismo si reggeva sull’autorità del clero e del re; il realismo degli anni Quaranta non ebbe lo stesso dirompente impatto della pittura di Courbet e dei paesaggisti di Barbizon in Francia. Nello stesso periodo, in Inghilterra, lo sviluppo della civiltà industriale stimolò la nascita di una nuova didattica del disegno, finalizzata alla produzione di oggetti utili e funzionali. Di certo, l’esempio inglese fu unico nel suo genere, poiché il sistema accademico era fondato su un ente privato quale la Royal Accademy, che non vide mai messo a repentaglio il suo potere, se non con la nascita delle “libere associazioni di liberi artisti”. Si deve poi ad Haydon, negli anni Trenta dell’Ottocento, la prima vera opposizione all’Accademia ufficiale, con la creazione della Normal School of Design, un istituto statale di disegno industriale. Per ciò che riguarda l’Italia, la crisi che coinvolse tutti gli istituti d’arte e, quindi, anche l’Accademia, aprì una profonda ferita nella cultura del nostro paese, ferita che andò inevitabilmente ad incidere sul gusto e sul costume della popolazione. Nella realtà postunitaria, si deve a Giuseppe Bossi, a Pietro Giordani e a Leopoldo Cicognara l’impulso dato all’insegnamento dell’ornato, quale disciplina in grado di sgravare le arti nobili ed andare incontro alle nuove esigenze di mercato e di lavoro. Dopo il Plebiscito, fu il Cavalcaselle a proporre al governo un disegno di rinnovamento, ponendo nuovi problemi di conservazione e salvaguardia dei beni culturali e del patrimonio artistico; con questo progetto si distinguevano le Belle Arti come professione, dalle Belle arti come patrimonio.
Era definitivamente sancita la separazione tra “fare arte” e “studiare arte”, relegando l’Accademia all’interno dell’Università. L’antitesi tra tradizione e innovazione, tra vecchio e nuovo, tra accademia e avanguardia, si inserisce quindi appieno nel nuovo orizzonte europeo dell’Ottocento, combattuto fra forze di conservazione e di mutamento. L’Accademia cercherà ovunque e con ogni mezzo di mantenere il suo ruolo di guida, ma sarà lentamente e inesorabilmente spogliala di ogni funzione. Non più luoghi privilegiati di produzione della “Grande Arte”, quella con la A Maiuscola, queste scuole cercarono inutilmente di rinnovarsi, costrette a ricavarsi uno spazio nuovo entro un più articolato sistema didattico. Non riuscendo in tale intento la loro crisi fu inevitabile; la loro fine, anche.
La morte dell'Accademia di Belle arti – Una battaglia tra potere e rivoluzionari
In un libro di Concetto Nicosia l’inesorabile declino di quello che fu a lungo il luogo privilegiato di conservazione della cultura figurativa e che finì travolto dall’ansia di rinnovamento e dai mutati orizzonti artistici e sociali