[N]ello splendido cimitero Staglieno di Genova, che per il suo impianto naturalistico è avvicinabile ai complessi monumentali funerari del nord Europa, è conservata la memoria di un’intera città, innalzata alla grandezza da celebri scalpelli, come, per esempio, Giulio Monteverde, Santo Varni, Augusto Rivalta e Lorenzo Orengo. In esso hanno trovato la pace senza tempo Giuseppe Mazzini, Nino Bixio, Mary Constance Wilde, moglie di Oscar Wilde, i genitori di Goffredo Mameli e per arrivare più vicino a noi anche Fabrizio De Andrè. Ma chi entra e ne percorre silenziosamente le lunghe arcate o passeggia tra i viali collinari non può non far visita e recare omaggio a Caterina Campodonico, ritratta nel 1881 dal già citato Lorenzo Orengo, massimo interprete genovese di quel “realismo borghese” presente nella statuaria di fine Ottocento e primi decenni del Novecento. Ma chi era Caterina Campodonico? Era una semplice e umile donna del popolo che, per vivere, vendeva ai passanti collane di noccioline e ciambelle. Cercava di spendere il meno possibile dei soldi che guadagnava, perché aveva un sogno, un sogno importante che l’avrebbe resa immortale: desiderava che le fosse scolpito un monumento che la raffigurasse e che questo monumento fosse posto a Staglieno, tra le tombe dei nobili e dei borghesi. Caterina riuscì a far avverare questo suo desiderio prima ancora di morire; commissionò ella stessa a Lorenzo Orengo l’opera e ne seguì personalmente le fasi di realizzazione. Le leggende orali, entrate a far parte della storia collettiva, narrano che Caterina si recasse spesso a far visita al suo monumento e che ammirasse la grande cura e maestria con cui era stata scolpita in ogni singolo dettaglio. Il valente artista infatti era stato in grado di imprimere all’algido marmo la consistenza e l’effetto materico dei tessuti, dal vellutato scialle, al crespo macramè della veste e del pizzo del grembiule. Tra le mani Caterina, nota ai genovesi come “Cattainin dae reste”, regge le sue collane di noccioline e le sue ciambelle, senza le quali nulla sarebbe stato possibile. Sul basamento è posta l’epigrafe del poeta dialettale Gianbattista Vigo che così recita in italiano:
Vendendo collane e ciambelle all’Acquasanta, al Garbo e a San Cipriano Con vento e sole e con acqua a catinelle per assicurarmi un pane nella vecchiaia fra i pochi soldi mettevo via quelli per tramandarmi nel tempo mentre son viva e son vera portoriana Caterina Campodonico (la paesana). 1881 Da questa mia memoria se vi piace Voi che passate pregatemi la pace
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