di Roberta Maresci
[A]scoltare il suono di un’opera d’arte, valutarne le frequenze delle vibrazioni per rilevare dall’impronta “sonica” di ciascun manufatto un marchio in grado di identificare l’oggetto, come le impronte digitali per l’uomo.
Era l’uovo di Colombo, ma bisognava arrivarci. Onore al merito al professor Pietro Cosentino, del Gruppo nazionale di Geofisica della terra solida del Cnr e ordinario di Geofisica all’Università di Palermo. Brevetto appena depositato e sperimentato per anni, in collaborazione con il Centro di Restauro della Regione Sicilia, su opere notevoli conservate nel territorio come la Venere anadiomene del Museo Orsi di Siracusa, l’Efebo di Mozia, il cratere dei Niobidi del V sec. a.C. del Museo Archeologico di Agrigento, le statue di San Michele Arcangelo, scuola di A. Gagini, e di Eleonora d’Aragona, diLaurana, nel Museo Abatellis di Palermo, su piatti ceramici e altri capolavori a tre dimensioni: è il “codice a barre” che contrassegna i beni artistici.
A differenza di quell’insieme di elementi grafici inventati da Norman Joseph Woodland e Bernard Silver nel 1948, adottati il 3 aprile 1973 con il nome di Upc (Universal Product Code), apposti per primi su un pacchetto di chewing gum ora esposto nelle vetrine dello Smithsonian’s Museum, il “codice a barre” che porta la firma di Cosentino è criptato e a conoscenza di pochi eletti. C’è ma non si vede. E l’inventore ha lavoratoalla medesima applicazione su tele e oggetti d’arte a due dimensioni.
“Ma in cosa consiste la rivelazione? “Il principio è quello di far risuonare gli oggetti con opportune sollecitazioni meccaniche, come ad esempio con un martelletto gommato. Questa impronta identificativa può essere rilevata, senza alcuna invasività sull’opera, in materiali lapidei, metallici, lignei e ceramici. Il sistema di rilevamento, ricavato dall’applicazione di una tecnica della microgeofisica ad alta risoluzione, in particolare della tomografia sonica, necessita di uno strumento poco costoso.
La diversità di impronta di due vasi apparentemente uguali – continua Cosentino – dipende non solo dalla forma e dal materiale costitutivo dell’oggetto, ma anche da tutti i ‘difetti’ sempre presenti nell’opera realizzata a mano. Tali caratteristiche determinano modi diversi di vibrare per ogni manufatto. Quando l’oggetto si degrada, l’impronta può variare: lentamente se il degrado è nella norma, velocemente se il deperimento è più grave e repentino, a causa di lesioni, rotture, imbibizioni. Pertanto sarebbe opportuno controllare periodicamente, ogni cinque-dieci anni, eventuali piccole variazioni”.