L'antica pittura cristiana dell'Etiopia

L’opera del XVII secolo, giunta a noi in discrete condizioni, nonostante qualche caduta di colore, propone un soggetto iconografico chiamato in lingua gheez Kwer’ata re’esu, letteralmente traducibile come Nostro Signore percosso e che corrisponde, nella tradizione occidentale, ad un Ecce Homo, o un Cristo coronato di spine



Fra le numerose e notevoli opere che compongono la collezione del Museo dei Beni Culturali Cappuccini di Milano compare anche questa tavola dipinta a tempera proveniente dall’Etiopia e risalente all’incirca alla seconda metà del XVII secolo. Si tratta di un pregevole esempio di quei manufatti oggi definiti “icone etiopiche”, sebbene differiscano sostanzialmente, sia per tecniche esecutive che per destinazione d’uso, dalle più note icone orientali. L’opera, giunta a noi in discrete condizioni, nonostante qualche caduta di colore, propone un soggetto iconografico chiamato in lingua gheez Kwer’ata re’esu, letteralmente traducibile come Nostro Signore percosso e che corrisponde, nella tradizione occidentale, ad un Ecce Homo, o un Cristo coronato di spine. Un dipinto europeo su tavola che riprendeva questa iconografia, nel corso del XVI secolo, si trovava in Etiopia alla corte imperiale; non sono note le esatte modalità, le circostanze e l’epoca in cui vi giunse, ma è risaputo che ebbe una destinazione piuttosto singolare: diventò il vero e proprio palladio reale, era portato in battaglia come vessillo imperiale e i nobili e l’esercito giuravano fedeltà all’imperatore su di esso.
L’icona del Museo dei Cappuccini ne rappresenta una copia fedele. Molti particolari del palladio sono qui ripresi puntualmente: Gesù è raffigurato a mezzo busto, con la corona di spine stranamente bianca, lo sguardo rivolto verso il basso, le mani aperte, la bocca socchiusa; uguale è l’abbottonatura del mantello, che in altre copie appare più elaborato; esattamente come nell’originale la barba è divisa in due punte; le gocce di sangue sono replicate con precisione, mentre differisce il nimbo, che presenta le caratteristiche tipiche del cosiddetto “primo stile di Gondar” (XVII secolo). Spiccano i tratti somatici insolitamente allungati di Gesù, particolare piuttosto raro; inoltre il manto è di colore bianco, in contrasto con l’originale verde. Le figure dei due torturatori ritratte alle spalle di Cristo recano abiti di foggia moresca con turbante: ma bisogna tener presente che l’Etiopia era una nazione cristiana circondata da stati musulmani, ed aveva a lungo subito le loro feroci scorrerie. La tavola, che era stata preparata con uno strato di gesso levigato su cui erano stati direttamente stesi i colori a tempera, rivela analogie con un’icona conservata nel Museo di Addis Abeba.

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Redazione
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