[“V]idi l’Agnello aprire il primo dei sette sigilli. (…) Guardai e vidi un cavallo bianco. Il suo cavaliere teneva in mano un arco. Dio gli fece dare una corona, simbolo di trionfo, ed egli passò da una vittoria all’altra, sempre vincitore. (…) Quando Dio aprì il secondo sigillo (…) si fece avanti un altro cavallo, rosso fiammante; al suo cavaliere Dio diede una grande spada e il potere di far sparire la pace dalla terra. (…) Quando l’Agnello aprì il terzo sigillo (…) guardai e vidi un cavallo nero. Il suo cavaliere teneva in mano una bilancia”. Infine “guardai e vidi un cavallo color cadavere. Il suo cavaliere si chiamava Morte, ed era accompagnato da un esercito di morti” (Apocalisse, 6, 1-8).
La solennità del momento, l’enfasi sfrenata dei quadrupedi lanciati in una corsa senza limiti, pronti a precipitarsi su un’umanità peccatrice e stolta, dimentica della Parola di Dio, la sete di sangue e il desiderio di infliggere la sofferenza impresso nei volti dei quattro cavalieri, che digrignano i denti o storcono i lineamenti del volto in risate sadiche, sono caratteri ben ravvisabili nella tavola realizzata da Albrecht Dürer (1471-1528).
La xilografia, insieme ad altre quattordici, contribuisce ad illustrare la versione dell’Apocalisse progettata e stampata nel 1498 in tedesco e latino per iniziativa dell’artista. I denominatori comuni presenti nei disegni, come il forte realismo che pervade le scene – e che dialoga al tempo stesso con l’irrealtà del soggetto -, l’attenzione minuziosa ai particolari, il dinamismo dei corpi umani, demoniaci e divini, la mostruosità dei personaggi, la violenza e l’orrore descritti, sono fondamentali in quanto rappresentano la materia esplosiva che moltiplica la visionarietà del testo.
Analizzando i lavori con più attenzione, ci accorgiamo che il pittore di Norimberga tende a riempire la superficie del foglio – per la prima volta assistiamo, in ambito librario, alla scelta di illustrare una pagina intera e non solo il capolettera -, lasciando pochi vuoti a favore di una capillare diffusione del tratto nero che, colmando gli spazi, infonde all’osservatore un senso di disordine regolato, uno scompiglio che deriva dal peccato e dalla condanna.
Una cupa visione millenaristica, che risente di una configurazione tipicamente tedesca: qui viene rappresentato il crollo del mondo minato dal vizio, ma soprattutto la vittoria definitiva del Bene sul male. Un’osservazione che troveremo, con gli stessi termini corruschi, nella predicazione di Lutero.
L’APOCALISSI AMBIENTALE PREVISTA DA LEONARDO DA VINCI
“Uscirà di sotto terra chi con ispaventevoli grida stordirà i circostanti vicini, e col suo fiato farà morire li omini e ruinare le città e castella”. La fine del mondo è prossima: ogni cosa sarà travolta dalla forza inarrestabile della natura e per l’uomo non ci sarà possibilità di salvezza. Il pianeta verrà avvolto dalle tenebre e si lacererà; dai crateri emergeranno fiere violente che dissemineranno il terrore: “Vedrassi voltare la terra sotto sopra, e riguardare li opposti emisperii e scoprire le spelonche a ferocissimi animali”. Gli uomini sopravvissuti, in preda alla follia, daranno in pasto alle belve le ultime, scarse risorse alimentari: “Butteranno li omini fuori dalle lor proprie case quelle vettovaglie, le quali eran dedicate a sostentare la lor vita”. Sparirà ogni certezza, ogni valore, ogni sentimento, il caos regnerà sovrano, in uno stato di guerriglia permanente: “Le province si mischieranno insieme con gran revoluzione”, e “saranno molti, che si moveran l’uno contro l’altro, tenendo in mano il tagliente ferro”.
E’ l’Apocalisse di Leonardo. 171 profezie che descrivono con un linguaggio oscuro e solenne la fine del mondo. Travolto da forze brutali e inarrestabili, l’uomo diverrà una creatura spietata, selvaggia, dominata dagli istinti più animaleschi, capace di commettere crimini atroci contro i propri simili. Sono immagini cruente, terrificanti, addirittura disgustose, che potrebbero costituire la trama riuscitissima di un film dell’horror. “Molti si faran casa delle budelle e abiteranno nelle lor proprie”; “Vedrassi il cibo degli animali passar dentro alle lor pelli per ogni parte salvo che per la bocca e penetrare dall’opposita parte insino alla piana terra”. Quello profetizzato da Leonardo è un mondo orripilante, straziato, minacciato da bestie feroci e zombie, che sottraggono all’uomo le proprie ricchezze e lo trascinano nell’oscurità: “Corpi senz’anima per se medesimi si moveranno, e porteran con seco innumerabile generazione di morti, togliendo le ricchezze a’ circunstanti viventi”; “Vedrassi i morti portare i vivi in diverse parti”. Persi i beni e gli affetti, persino l’uso della ragione, l’uomo si lascerà andare ad azioni empie ed immorali, scagliandosi senza alcuna pietà anche contro i propri cari: “Vedrassi i padri donare le loro figliole alla lussuria delli omini e premiarli e abbandonare ogni passata guardia”; “Molti fien quegli che scorticando la madre li arrovesceranno la sua pelle addosso”. Questo scempio non risparmierà neppure le creature innocenti: i neonati saranno strappati dalle braccia delle proprie madri, “gittati in terra e poi lacerati”. Nascerà una nuova Babilonia, in cui sarà impossibile ogni forma di comunicazione e comprensione: “Verrà a tale la generazione umana che non si intenderà il parlare l’uno dell’altro”; “Vedrassi i padri e le madri far molto più giovamento ai figliastri che ai loro veri figlioli”.
La natura stessa sarà vittima della terribile rivoluzione: la terra si inaridirà, le acque si ritireranno, il fuoco avvolgerà e devasterà ogni cosa, i venti convertiranno il proprio corso, le rocce diverranno cenere… “Vederà i maggiori alberi delle selve esser portati fuori de venti dall’oriente all’occidente”; “Vedrassi le piante rimanere senza foglie e i fiumi fermare i propri corsi”. Gli animali saranno impegnati in un’infinita ed estenuante lotta per la sopravvivenza: “Vedrassi la spezie leonina colle ugliate branche aprire la terra, e nelle fatte spelonche seppellire sé insieme cogli altri animali a sé sottoposti”; “Vedrassi serpe combattere colli uccelli”; “Tutti gli strolaga (i galli) saran castrati”… Queste agghiaccianti espressioni oracolari sembrano trovare un efficace supporto visivo in alcuni disegni raffiguranti catastrofi naturali, attraverso i quali Leonardo intendeva rendere visibile l’azione degli elementi sul paesaggio. Destano terrifico sbigottimento soprattutto gli studi sulle stratificazioni rocciose orizzontali: sembra che siano prossime a crollare, esplodere, sbriciolarsi in seguito alla fuoriuscita di una vena d’acqua. Tutto è avvolto da dense nubi e turbini: violenti uragani si abbattono su piccoli centri abitati e li travolgono in un marasma indistinto. Leonardo rappresenta tempeste e maree smisurate, veementi, che spazzano via inesorabilmente cavalieri, alberi, fortificazioni, in un dinamismo che non trova precedenti nella storia dell’arte, e che sembra anticipare l’immagine “in movimento” cinematografica. Le raffigurazioni sono volutamente confuse: ogni vita, ogni città viene distrutta da nuvole burrascose, cicloni inarrestabili, bufere e diluvi.
Alla luce di tali considerazioni, risulta spontaneo accostare queste profezie, rese nella duplice forma di epigrafi e disegni, a quelle di Pico della Mirandola o di Marsilio Ficino, i quali, vantando un presunto dono profetico, prefigurarono immani catastrofi che si sarebbero abbattute sulla Terra a punizione degli innumerevoli peccati dell’umanità. Difficile tuttavia credere ad un Leonardo “apocalittico”, allucinato, vaneggiatore, pervaso da un forte nichilismo; si è soliti pensare a lui come ad un uomo di scienza, metodico, giudizioso, che intrattiene un rapporto positivo con la natura, e riesce con la sua arte a tramutare qualsiasi cosa – si tratti di Madonne, nobili dame, anatomie di muscoli, piante o animali – in bellezza eterna. In nome di questo Leonardo, anticipatore di molti aspetti della scienza e della tecnologia moderne, molti studiosi hanno interpretato le profezie raccolte nel Codice Atlantico come un gioco, un divertissement destinato agli ambienti aristocratici della corte sforzesca. E non a torto: nel foglio 370 r.a, come premessa alla profezia della fossa, si legge la seguente didascalia: “Dilla in forma di frenesia o farnetico, d’insania di cervello”. Essa chiarisce in modo inequivocabile le intenzioni dell’autore: suscitare nel colto e raffinato uditorio, mediante l’arte della recitazione, meraviglia e disorientamento, così che risultasse ancora più arduo indovinare il significato celato dietro queste oscure e terrificanti premonizioni. Se il movente ironico e sarcastico è presente nella maggior parte dei brani, tuttavia non mancano momenti di pensosa riflessione, in cui la grave solennità del dettato corrisponde alla visione che gli viene suggerita dalle osservazioni scientifiche e dalla capacità fantastica di trasferire nell’immagine il suo sbigottimento dinanzi agli spettacoli naturali studiati con tanta applicazione.
L’APOCALISSE DEL BEATO DI LIEBANA (786)
Le illustrazioni del commentario dell’Apocalisse del Beato di Liebana, scritto nel 786, appartengono ad alcuni manoscritti dei secoli X-XI, realizzati in diversi scriptoria monastici. Queste miniature mostrano dei caratteri stilistici riscontrabili nella coeva pittura romanica, come l’assenza di naturalismo, l’abolizione della profondità spaziale e della volumetria, la deformazione dei corpi, l’uso di colori sgargianti usati senza sfumature e accostati in modo contrastante. Sia il disegno che il colore sono impiegati in modo potentemente espressivo e fanno di queste miniature uno dei prodotti artistici più alti del Medioevo
L’Apocalisse nell'arte e la straordinaria invenzione di Dürer
La solennità del momento, l’enfasi sfrenata dei quadrupedi lanciati in una corsa senza limiti, pronti a precipitarsi su un’umanità peccatrice e stolta, dimentica della Parola di Dio, la sete di sangue... Una cupa visione millenaristica, che risente di una configurazione tipicamente tedesca: qui viene rappresentato il crollo del mondo minato dal vizio, ma soprattutto la vittoria definitiva del Bene sul male. Un’osservazione che troveremo, con gli stessi termini corruschi, nella predicazione di Lutero.