Negli anni ’60 nella capitale Mario Schifano, Franco Angeli, Tano Festa e Giosetta Fioroni, riuniti intorno a De Martiis, carismatico proprietario della galleria “La Tartaruga”, danno vita alla “Scuola di Piazza del Popolo”, che interpreterà la Pop art secondo la grande tradizione della pittura italiana
di Carlo Franza
[L’]avventura romana del gruppo denominato “La Scuola di Piazza del Popolo” è una lode a Plinio De Martiis, che in tale piazza dirigeva negli anni Sessanta del Novecento la galleria “La Tartaruga” e che impose al pubblico quella giovane arte figurativa, ormai senza confini, nata sotto il nome di pop art italiana.
Il fenomeno era esploso alla Biennale di Venezia del 1964 per opera di artisti americani. Mentre tuttavia la tradizione americana puntava su oggetti di consumo del mondo moderno, la tradizione italiana, composta da secoli di grandissima pittura e scultura, fece ritrovare agli artisti romani, vale a dire Mario Schifano, Tano Festa, Franco Angeli e Giosetta Fioroni, gli elementi di tale straordinario passato, introducendovi storia quotidiana, sentimenti, nostalgia ed eleganza.
Tano Festa proponeva porte e persiane romane, ma anche cieli barocchi e addirittura il Michelangelo della Sistina, che presentò alla Biennale; Schifano dipingeva palme frondose a ricordare le sue origini, paesaggi e loghi famosi del consumo contemporaneo, monocromi, ma anche coreografie; Angeli invece si spingeva a rappresentare quarti di dollaro e lupe romane; e infine Giosetta Fioroni, con figure e simbologie femminili – i suoi cuori e le sue tenuità rosa -, insieme a flash sui sentimenti.
Ho detto quattro artisti, non perché più famosi, ma perché più “romani”, con il loro principe da mille e una notte che era Mario Schifano. Non erano i soli, perché attorno gravitavano Mimmo Rotella, allora impiegato postale e pittore al tempo stesso con le sue tele di “poesia peristaltica”, Fabio Mauri con i suoi “schermi” vuoti, il greco Kounellis con le sue frecce e numeri, Pino Pascali con le sue code di balena, Cesare Tacchi con i suoi ingrandimenti imbottiti, Salvatore Scarpitta con bende intrecciate e funebri, Mario Ceroli con le sue costruzioni, i numeri e le lettere alfabetiche in legno.
Tutti giovani, capaci di vivere quell’aria romana, e maggiormente d’aver alimentato una delle esperienze più esaltanti dell’avventura moderna in Italia. De Martiis è stato nella Roma del tempo il solo gallerista a fiutare i veri talenti. Questi giovani artisti correvano da lui, facendo anche lunghe anticamere prima di accedere alla sua presenza, rinchiuso in quella piccola stanzina ch’era il suo ufficio, pronto ad allungare un diecimila o a decidere a chi far fare una mostra. Bei tempi; e bel coraggio ebbe il nostro gallerista, che proprio nella vecchia “Tartaruga” di Piazza del Popolo accolse persino Cy Twombly, l’americano che lì iniziò la sua carriera. E in quella Roma che cresceva e cantava una stagione densa e fertile, c’erano anche le osterie con la segatura sul pavimento, pronte a servire un buon Frascati; ma i nostri giovani pittori con De Martiis era tradizione che passassero la serata alla trattoria “Da Cesaretto” in via della Croce, cui spesso si aggregavano illustri letterati come Moravia.
Accanto a questo, la Roma di quegli anni viveva il gruppo dei “Novissimi”, anche detto “Gruppo ’63”: erano poeti e letterati, alter ego dei nostri pittori, con il loro “eversore” Nanni Balestrini, e che puntavano a far crescere in Italia una letteratura sperimentale.
Spesso alla “Tartaruga” i “Novissimi” presentavano i giovani pittori, sicché i due gruppi si intersecavano.
Poi De Martiis con la sua galleria migrò in Piazza Mignanelli, ma ormai i nostri artisti, i “quattro di Roma” poi detti “i quattro di Piazza del Popolo”, s’erano già conquistata la fama.