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Lavori al Colombario della necropoli romana. Perché si chiama così. Cosa rappresentano gli affreschi. Cosa imitano


Nell’ambito degli investimenti “Caput Mundi” per il recupero e la valorizzazione del patrimonio storico-artistico capitolino, la compagine di Gruppo Contec ha comunicato di aver dato avvio ai rilievi e alla relativa progettazione del restauro della necropoli romana di Villa Pamphilj.

Gli interventi ricognitivi e di studio, finalizzati alla realizzazione dell’intervento, sono stati avviati dai restauratori di Artemisia srl.

Cos’è la Necropoli romana di Villa Pamphilj? Qui si conservano alcuni resti murari di sepolcri dalla fine dell’età repubblicana alla metà del II sec. d.C. con particolare riferimento al tipo costruttivo detto “colombario” relativo all’uso dell’incinerazione. In particolare si conservano i resti di un muro di recinzione di un monumento in opera quadrata di tufo e peperino con rappresentazione di una finta porta, il cosiddetto Grande Colombario (da cui provengono le pitture conservate al Museo Nazionale Romano) e il Piccolo Colombario, entrambi rinvenuti negli anni 1820-1830 da scavi effettuati dalla famiglia Doria Pamphilj. A pochi metri di distanza da questi è stato scoperto nel 1984 un altro colombario con abbondanti resti pittorici di buona qualità riferibili all’età augustea.

“Sotto la guida della Soprintendenza Archeologica di Roma, insieme a Contec Ingegneria, Open Building. Contec AQS ed il geologo dott. Andrea Baldracchi – commenta Artemisia srl – stiamo dando avvio ai rilievi ed alla progettazione del restauro della necropoli romana di Villa Pamphilj. Sviluppato a partire dall’età repubblicana fino all’età traianea, al di fuori della città, lungo la via Aurelia, il sepolcreto è costituito quasi esclusivamente da edifici del tipo a colombario, con affreschi, graffiti, iscrizioni dipinte e buona parte delle tabelle di marmo o in terracotta ancora inchiodate o ammorsate nei rispettivi loculi. Nell’area vi sono poi oltre 180 reperti tra cippi, stele, are e lastre sepolcrali. Un sito straordinario all’interno di un’area di grande bellezza”.

I colombari sono così chiamati perché è stata creata una similitudine tra i loculi per le urne di incinerazione e i nidi dei colombi che venivano creati, presso ville, palazzi e giardini, affinché questi volatili prendessero posto in una delle numerose cavità realizzate appositamente dall’uomo e qui la coppia iniziasse la deposizione delle uova e la cova.

Quando i colombi novelli erano cresciuti, prima che potessero volare, venivano catturati e consumati. Lo spazio funerario del colombario, in questo caso, ha un’azione mimetica rispetto ai grandi spazi – spesso torri o torrette – realizzati per ospitare i colombi. L’architetto lavorò per creare un luogo funerario che non fosse angosciante, ma si aprisse a un movimento immaginario di volatili o altri piccoli animali, richiamati – nei reali spazi d’allevamento – dal becchime o dai frutti che venivano inizialmente dispensati nei pressi delle cavità o sulle mensole affinché le colombe si fermassero per fare il nido.

I colombari per l’allevamento avevano poi fori comunicanti con l’esterno che consentivano ai volatili adulti – una volta che si erano abituati a questi luoghi protetti e qui avevano fatto i nidi – di entrare e uscire liberamente, all’aperto, per l’approvvigionamento di cibo da portare nel nido stesso. Le fascette dipinti, nella necropoli, sotto le cavità, furono pensate come cartigli che però richiamavano i contenitori che venivano riempiti di becchime, durante i periodi precedenti alla realizzazione del nido, in cui i volatili erano trattenuti forzatamente nella cavità, attraverso una rete collocata all’imboccatura. Una volta che si erano abituati al nido, la rete veniva rimossa.

Probabilmente l’osservazione dei colombari d’allevamento ispirò la realizzazione di spazi razionali nei quali potessero essere deposte le ceneri dei defunti.