Le fotografie di Martina Cemin, bentornato sentimento

Stile Arte intervista Martina Camin, giovanissima vincitrice della coppa intitolata a Luigi Nocivelli, un riconoscimento a latere del Premio Nocivelli. La coppa intende riconoscere le evoluzioni dei linguaggi artistici collegati alla cultura italiana, nell'ambito della valorizzazione di una precipua identità espressiva che colloquia con il mondo, pur crescendo sulle radici forti della tradizione artistica del nostro Paese. L'opera vincitrice è una delicata fotografia, tecnicamente rigorosa, in cui il minimalismo si fonde con una visione neo-crepuscolare del mondo, dominata dall'intensità del sentimento



Stile Arte intervista Martina Camin, giovanissima vincitrice della coppa intitolata a Luigi Nocivelli, un riconoscimento a latere del Premio Nocivelli. La coppa intende riconoscere le evoluzioni dei linguaggi artistici collegati alla cultura italiana, nell’ambito della valorizzazione di una precipua identità espressiva che colloquia con il mondo, pur crescendo sulle radici forti della tradizione artistica del nostro Paese. L’opera vincitrice è una delicata fotografia, tecnicamente rigorosa, in cui il minimalismo si fonde con una visione neo-crepuscolare del mondo, dominata dall’intensità del sentimento 
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Iniziamo con una breve scheda.

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Martina Cemin

 
Sono nata a Rovereto, in provincia di Trento, il 6 giugno 1993 e attualmente sto terminando gli studi al dipartimento di fotografia presso la LABA di Brescia. Quando ho scattato “Philomena”, nel 2013, il mio stile fotografico era acerbo e come artista dovevo ancora conoscermi e definirmi; ora, due anni dopo, posso dire di essermi avvicinata molto di più ad una visione personale dell’arte, in particolare della fotografia. La passione per quest’ultima è nata con il mio desiderio di viaggiare, esplorare, e scoprire il mondo. Infatti, ho deciso di iscrivermi ad un’accademia perchè ero affascinata dal reportage, dal raccontare con i propri occhi una versione personale della storia e, con il tempo, mi sono ritrovata ad essere sì reporter, ma della mia stessa vita. Porto sempre con me una macchina fotografica e se mi capita di uscire senza, mi sento quasi a disagio, come se fossi nuda. Mi piace immortalare l’intimità, le situazioni che vivo dal mio punto di vista, immischiarmi nelle vite altrui, “disturbare”, farmi spazio. Molte volte passo inosservata perchè le persone intorno a me sono abituate alla mia presenza e al mio improvviso scattare: fotografo la familiarità, talvolta accompagnata da un lieve senso di perturbante.
Vedo la fotografia come un diario, qualcosa di molto personale in cui mi trovo ad accumulare ricordi e momenti, come per paura di perderli, un giorno. Preferisco dare allo spettatore libera interpretazione sulle mie opere, quasi per sfidarlo a capire il mio mondo, anche se penso che, con la giusta lettura, qualsiasi opera rifletta almeno in parte la vita dell’artista che l’ha creata.
Sono una buona lettrice e mi piace accompagnare le fotografie con pensieri e didascalie, come per integrare il linguaggio che è già per me l’arte. Non do troppa importanza all’estetica, piuttosto al ricordo e alla sensazione che il momento suscita.
L’elemento umano è quasi sempre presente nei miei scatti, non importa se ben visibile o appena notabile, nella composizione deve esserci qualcosa che viva gli spazi da me creati.
Ultimamente mi sono sentita vicina ad alcuni aspetti della fotografia contemporanea, la sperimentazione sta diventando il mio pane quotidiano. Sperimento soprattutto sul mezzo, scattando con qualsiasi apparecchio fotografico mi capiti per le mani. Mi sto appassionando all’analogico, adoro la manualità, il poter manipolare le fotografie in camera oscura ma non sapere mai bene quale sarà il risultato, la sorpresa al momento dello sviluppo e le varie tecniche di stampa.
Nell’ambito dell’arte, della filosofia, della politica, del cinema o della letteratura chi e quali opere hanno successivamente inciso, in modo più intenso, sulla sua produzione? Perché?
La mia produzione è in continuo sviluppo, e per questo viene influenzata quotidianamente dagli ambienti che frequento e dalle persone di cui mi circondo. Penso che il mio apprendimento sia costante, le mie opere vengono influenzate dalle situazioni quotidiane e dagli avvenimenti della mia vita. Lo stile che sto sviluppando non si rifà particolarmente a qualche celebre artista, ma piuttosto ad un insieme di stili inevitabilmente assorbiti in tre anni di vita in accademia.
La prima fotografa che mi è entrata nel cuore è stata Nan Goldin, con il suo “diario pubblico”. La crudezza di alcune sue immagini nasconde una forte emotività, e quest’artista è stata uno dei pilastri che hanno influenzato maggiormente la mia produzione.
Di Barbara Kruger mi piace lo stile concettuale, le didascalie a sfondo sociale e la manualità dei suoi collage.
Trovo ispirante la sperimentazione della Spranzi, la spaventosa intimità di Larry Clark e i ritratti ironici di Terry Richardson.
Sono una grande fan di David Lynch, sia come regista che come musicista e il perturbante è ormai parte integrante della mia arte, mi affascina estremamente questa sensazione freudiana di non familiarità.
Altro regista a cui mi ispiro, soprattutto quando si tratta di colore, è Wes Anderson, anche se, per quanto riguarda l’estetica, la mia arte si può definire l’opposto della sua cura maniacale per l’ordine e la precisione.
Ultimo ma non meno importante, è lo scrittore Alessandro Baricco, che con le sue parole mi ha trasmesso l’amore per il viaggio, facendomi visitare terre lontane e raccontandomi culture che spero un giorno di poter conoscere di persona.
Può analizzare nei temi e nei contenuti l’opera da lei realizzata e presentata al Premio Nocivelli, illustrando le modalità operative che hanno portato alla realizzazione?
Questa fotografia è un’omaggio ad una persona molto speciale nella mia vita. Una donna forte e indipendente che mi ha praticamente cresciuta ed aiutata ad essere quello che sono oggi: mia nonna. La ragazza ritratta in “Philomena” infatti, è lei, quando aveva circa la mia età. C’è poi un’ombra scura che sovrasta la giovane donna, come un presagio negativo, che però risulta anche qualcosa di delicato ed elegante. La mia opera parla di una bellezza perduta, un fiore che appassisce pian piano, soffocato da un male terribile, il Morbo di Parkinson : questa malattia, al contrario di altre, si manifesta lentamente e assorbe gradualmente le energie di chi ne è affetto, è ingannevole, furtiva, leggera come un petalo.
Giorno per giorno, vedo mia nonna appassire davanti al mio sguardo inerme, “Philomena” vuole essere un’ode alla sua giovinezza ormai perduta.
Anche se, come detto in precedenza, prediligo l’uso del colore nelle mie immagini, penso che alcune scene siano fatte per essere ritratte in bianco e nero, affinché la relazione tra contenuto e forma sia equilibrata; inoltre, ho voluto dare consistenza ai toni di grigio scegliendo di stampare su carta cotone.
• Indirizzi
Martina.cemin@gmail.com
http://martinacemin.tumblr.com/

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Redazione
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Stile Arte è una pubblicazione che si occupa di arte e di archeologia, con cronache approfondite o studi autonomi. E' stata fondata nel 1995 da Maurizio Bernardelli Curuz, prima come pubblicazione cartacea, poi, dal 2012, come portale on line. E' registrata al Tribunale di Brescia, secondo la legge italiana sulla stampa