di Enrico Mirani
[U]omini e donne abitano una natura rigogliosa e benigna. Sono nudi, a coppie e a gruppi; parlano, si toccano, si muovono, cadenzano una danza sensuale, intensamente erotica. I visi sono distesi, gli occhi sereni, i gesti armonici. In questo giardino delle delizie sembrano regnare l’ordine, la pace, l’equilibrio. Non si colgono sguardi lascivi o concupiscenti. Sorge il dubbio: siamo davanti ad un’orgia oppure al rimpianto di un’innocenza perduta? La scena rappresenta la speranza di un paradiso che possiamo riconquistare oppure l’anticamera dell’inferno, quello che attende l’umanità smarritasi nell’immoralità sessuale? Il trittico Il Regno Millenario del fiammingo Hieronymus van Aken, detto Bosch, è stato un rebus della storia dell’arte. Una delle opere più misteriose ed enigmatiche, che gli studiosi hanno catalogato nel fantastico, nel grottesco, nel bizzarro demoniaco che sembrava ossessionare il pittore.
Un’interpretazione che certamente ha scontato la sostanziale assenza di notizie biografiche e di fonti sull’autore, nato intorno al 1450 e morto nel 1516. Una lettura comoda e superficiale, del tutto sbagliata, però, secondo lo studioso tedesco Wilhelm Fraenger, il quale ha proposto una grammatica ed una sintassi interpretativa del tutto nuova dell’opera di Bosch, aprendo squarci illuminanti sul rapporto fra arte e religione nel nord Europa nei decenni prima della Riforma.
Il Regno Millenario (1480-1490 circa), che decorava l’Escorial di Filippo II, sovrano di Spagna e delle Americhe, è un’opera composita, complessa, suggestiva. Sulle ante esterne Hieronymus Bosch ha dipinto Il terzo giorno della Creazione, quando Dio mandò la prima pioggia sulla terra arida, facendovi spuntare alberi e cespugli. L’anta interna di sinistra rappresenta il Giardino dell’Eden: la fontana e l’albero della vita, Cristo con Adamo ed Eva, gli animali di terra, cielo ed acqua.
Nella tavola centrale si spalanca il Regno Millenario che dà il titolo all’opera: quelle creature dall’aspetto innocente che popolano una terra feconda e benefica, un paradiso forse. Infine la terza tavola a destra, l’Inferno: terribili visioni demoniache, scene apocalittiche di incendi, fiamme devastanti; e poi monaci, religiose, cavalieri, giocatori, musici divorati da bestie e mostri, giustizieri che trascinano alla pena chi ha vissuto nella menzogna e nella perdizione. Un trittico che dichiara un intero alfabeto di simboli e metafore all’apparenza indecifrabili o fuorvianti.
Fu certamente realizzato su commissione, ma non venne mai esposto in una chiesa o in un convento, diversamente da altre opere dell’artista con soggetti tradizionali della devozione. D’altra parte, però, come ogni lavoro di questo genere, Il Regno Millenario aveva un valore pedagogico, e perciò doveva essere comprensibile a chi lo guardava: chi, allora, gli ordinò il dipinto? Quale cosmogonia sottende l’arte (ma a questo punto anche la vita e la fede) di Hieronymus Bosch? Un uomo che nei suoi quadri – nel fermento di un’epoca annunciante la Riforma luterana – non risparmiava la satira anticlericale come la condanna verso le sette occulte o sataniche. Quelle immagini e quei simboli, secondo Wilhelm Fraenger, vanno inquadrati nel pensiero di una particolare congregazione eretica cristiana di cui Bosch faceva parte: i fratelli e le sorelle del Libero Spirito.
Si trattava di comunità di persone e di pensiero che si rifacevano ad una dottrina presente già in epoca paleocristiana, fondata sulla figura di Adamo. Già nel XIII secolo lungo la valle del Reno, da Basilea fino ai Paesi Bassi, attraverso le antiche e colte città di Magonza, Colonia, Strasburgo, esistevano comunità eretiche autonome, senza collegamenti, che credevano in una particolare concezione del paradiso. La loro dottrina segreta si fondava su un’erotica adamitica, lontana dal sesso come puro piacere: credevano di incarnare lo Spirito Santo, essendo perfetti ed incapaci di peccare, novelli Adamo tornati allo stato di innocenza in un ripristinato paradiso terrestre. Uomini e donne erano uguali come eredi di Adamo, e dunque somiglianti a Dio. Soltanto anelando al primo uomo c’era la speranza di ricongiungersi con il Supremo.
La sessualità, sublimata, era una via per ascendere alla purezza, per emanciparsi dalla prigionia della carne. Queste sette si radunavano in luoghi sotterranei, solitamente caverne, che chiamavano “paradiso”. Fraenger interpreta il trittico di Bosch sotto tale luce. Il pannello centrale è il cuore dell’opera. Non siamo di fronte alla cupidigia sessuale che perde l’uomo e lo getta nell’inferno della tavola successiva. Qui la sessualità è gioia, estasi, serenità con i propri simili e con la natura, il mondo animale e vegetale. Sono uomini e donne dediti all’amore e alla purezza, in continuità con la coppia originaria che ha generato l’umanità: quell’Adamo e quella Eva così vicini a Cristo nel primo pannello. Un giardino delle delizie, dunque, che spetta ad ognuno di noi, se capaci di abbracciare la vera dottrina che porta alla purezza. L’artista, scrive Fraenger nel libro Hieronymus Bosch, il Regno Millenario (Abscondita, 190 pagine, 20 euro), voleva “rappresentare l’apoteosi della felicità paradisiaca della creatura unita a Dio e riconciliata con la natura”. Un paradiso aperto ai fratelli e alle sorelle disposte a rinascere attraverso Adamo. E l’inferno? Quello tocca a chi rifiuta questa verità, a chi continua a professare la vecchia dottrina, a chi vive nella cupidigia, nella lussuria, nei piaceri del mondo. La dottrina adamitica, chiaramente eretica, incontrò in Italia l’interesse di pensatori di rilievo come Pico della Mirandola e Marsilio Ficino, in un sincretismo che mescolava cristianesimo, filosofia greca, pratiche misteriche.
Nell’epoca che si avvicinava al Rinascimento, brillava l’idea di un rinnovamento dello spirito attraverso un miglioramento interiore, che portasse l’uomo ad un livello originario di purezza, semplicità, bellezza. Queste sette, ovviamente, furono perseguitate dalla Chiesa cattolica e gli adepti – quando scoperti – processati e condannati. Il capo religioso, carismatico e assoluto, era il Gran Maestro del Libero Spirito. Spesso uomini di grande fascino e cultura, talvolta sconfinati ben oltre il fanatismo volendosi identificare con il Divino. Anche la comunità di Hieronymus Bosch aveva un Gran Maestro. Fraenger – grazie ai simboli che lo circondano – lo individua nel Regno Millenario, nell’angolo in basso della tavola centrale.
Un uomo giovane ed affascinante che sta per entrare in una caverna, il viso sereno ma risoluto di un leader, diremmo oggi; accanto ha la sua Eva. E’ lui, secondo Fraenger, la guida spirituale di Bosch, lui gli ha commissionato la pala che rappresenta il pensiero della congregazione, lui ha suggerito soggetti e simboli al discepolo, fino a diventare una sorta di coautore dell’opera. Il trittico, dunque, è il frutto di un sistema intellettuale complesso, che integra filosofia, teologia e pedagogia. Un grande libro in cui i fratelli e le sorelle del Libero Spirito potevano ritrovare le ragioni, le basi, lo sviluppo, il messaggio della loro fede.
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