Tra le richieste più frequenti dei lettori, s’impone la definizione dello stile di Vincent Van Gogh. La difficoltà d’inserimento di un pittore profondamente solitario e ribelle come lui, in un movimento o in una corrente, è senz’altro palese, ma dalla sua pittura è facile individuare quegli elementi oggettivi – al di là di ogni sua dichiarazione di poetica – che permettono, attraverso il suo stile più maturo, di definirlo come pittore “post-impressionista di tendenza espressionista”.
Una classificazione che somiglia maggiormente a una diagnosi medica che a una catalogazione di storia dell’arte. Ma esistono artisti che sono punti di snodo e per i quali l’inserimento nell’ambito di una tabella classificatoria richiede più elementi di specificazione. Sostanzialmente Van Gogh, guardò agli impressionisti con interesse soltanto per la loro tavolozza luminosa. Era il colore a sedurlo, mentre non amava la maniera sommaria e poco disegnativa di quegli artisti.
Egli veniva da una pittura tenebrosa, ancorata ai valori del passato; era un disegnatore abile e riteneva il disegno fondamentale. a differenza degli impressionisti; ma la scoperta che compì a Parigi fu notevole sotto il profilo cromatico. Parigi, diffondeva tavolozze chiare, ricche di quella luce del paesaggio che era mancata nei dipinti precedenti di Van Gogh. In qualche opera, pertanto Van Gogh si adegua al nuovo stile, lo interpreta a proprio modo. E’ in questi casi che egli somiglia di più agli impressionisti. Un periodo breve, transitorio, eppur fondamentale, poichè la tavolozza diviene sempre più chiara, sino a cogliere, dopo il trasferimento in Provenza, il sole e la luce del Sud. Sotto il profilo della genetica della pittura egli deve molto all’impressionismo, pur non riconoscendosi in esso. Egli tende però a marcare un punto di vista molto soggettivo; forza e piega la realtà al proprio desiderio espressivo. Egli “sente”. Non “vede” soltanto. I suoi paesaggi e i suoi ritratti, a differenza di quelli degli impressionisti, non ha nulla di pienamente realistico.
«Caro Theo…»: dall’agosto 1872 fino al 27 luglio 1890, due giorni prima di morire, Vincent Van Gogh scrisse al fratello con una costanza che trova il solo termine di paragone nell’amore che egli nutriva per lui. Da sempre interlocutore privilegiato dell’artista, nonché il primo a riconoscerne la grandezza, per lungo tempo Theo fu l’unico a cui Vincent confidò le pene della mente e del cuore. «Se non avessi Theo» scriveva, «mi sarebbe impossibile dedicarmi al mio lavoro; ma poiché mi è amico farò ancora progressi e continuerò.» Queste lettere ci permettono di seguire, quasi quotidianamente, la vicenda artistica e umana del grande pittore e costituiscono, ancora oggi, il miglior viatico per un approccio alla sua incredibile produzione. Un’altissima testimonianza morale, una professione di credo estetico forse senza eguali in tutta la storia dell’arte.
Van Gogh – I miei quadri raccontati da me
Fu lo stesso Vincent van Gogh – nelle lettere che scrisse lungo gli anni – a parlare minuziosamente dei suoi dipinti. Spiegò come e perché li fece; ne descrisse i colori e le emozioni che provava nel realizzarli; disse pure cosa sperava e voleva che suggerissero in chi li guardava.
Precisò a quali pittori del passato si ispirava e a quale genere di nuova arte mirava, impegnandosi con tutte le sue forze per realizzarla. Creò tutto un universo visionario che – lui vivo – solo pochissimi seppero comprendere; ma che costituì un linguaggio quanto mai originale: anticipò e fondò l’evoluzione della pittura moderna. Le sue lettere a familiari e amici sono una testimonianza preziosa, di grande valore letterario, critico e umano. A distanza di più di un secolo, Van Gogh è universalmente riconosciuto come uno dei maggiori artisti della sua epoca. Eppure quando morì, a soli trentasette anni, Vincent era ancora un artista «esordiente», che aveva partecipato a pochissime mostre ed era riuscito a vendere appena qualche decina di opere. Strano destino in vita, per un artista che dopo la morte si sarebbe ritrovato, in pochi decenni, a essere considerato uno dei pittori più importanti della sua generazione, e il vero anticipatore dell’arte moderna.
Fu, come dicevamo, il colore ad avvicinarlo agli impressionisti, ma più come osservatore esterno che come compagno di strada, anche nel momento in cui – e parliamo del periodo parigino – riecheggia nelle sue opere la visione di Pissarro o di Monet o di Sisley, che sembra di intravedere nel cielo del dipinto qui sotto.
E’ un errore definire Van Gogh come impressionista? Fondamentalmente sì, anche se non è un errore da matita rossa. Ci si può salvare dicendo che qualche dipinto è molto vicino al mondo impressionista. Ma dipinti di questo tipo sono pochi. E’ stata un’aderenza fondamentale, anche se transitoria e non tale da inserire l’artista in quel gruppo.
L’arrivo in Francia comportò la scelta di colori molto intensi, più intensi di quelli degli stessi impressionisti. L’intensità cromatica – per certi aspetti violentemente anti-naturalista – s’accrebbe con il suo trasferimento nel Sud della Francia e forse con i colloqui con Gauguin. Per questo fu un post-impressionista, cioè un artista che tenne conto, superandoli, di alcuni aspetti dell’impressionismo, collocandosi più in là. I suoi dipinti, a differenza della maggior parte delle opere degli impressionisti, non colgono l’istante transitorio della realtà; non sono “istantanee”, non fissano l’attimo fuggitivo; non sono attente al gioco variabile della luce; non si collocano sul piano del presente, nonostante nascano dal confronto con la realtà, ma occupano una dimensione temporale eterna.Van Gogh è poi molto fedele alla struttura del disegno, a differenza degli impressionisti che, tendenzialmente, evitano le linee conchiuse. Non procede sulla tela con macchie, ma attraverso un tratteggio compiuto con il pennello, come se fosse una stesura disegnativa, traendo questa modalità da due elementi: l’essere stato, in gioventù, un disegnatore indefesso e l’aver osservato con amore e attenzione il calligrafico procedere dell’arte giapponese, particolarmente di moda in quel periodo. Il tratteggio del colore – in barre minute, accostate, flesse, orientate, parallele a blocchi – asseconda la forma dell’oggetto o ne potenzia il rilevamento della struttura. Per certi aspetti il tratteggio ricorda una scrittura, attraverso la quale egli fornisce indicazioni direzionali e strutturali rispetto all’oggetto dipinto. Siamo ben distanti – nonostante lui si dichiari un pittore attento al reale – dalla sintesi ottica degli impressionisti.
La forte marcatura cromatica, il grafismo disegnativo, la sottolineatura, attraverso linee di contorno, dei margini delle figure portano ad un potenziamento dell’espressione, in base al proprio modo di sentire. Per questo la tendenza della sua pittura post-impressionista è di matrice espressionista.
Egli inciderà infatti – con i colori violenti e puri – sui fauves e su parte dell’espressionismo tedesco. Il termine espressionismo – utilizzato anche per definire, in culture d’ogni tempo, scrittori od artisti che potenziano, secondo una percezione soggettiva, la rappresentazione della realtà, rispetto al grado zero della presunta oggettività – non è applicato soltanto a soggetti cupi o a temi terribili o a soggetti deformati, come avviene nella cosiddetta pittura degenerata tedesca degli anni della Prima guerra mondiale o della repubblica di Weimar.
Non è solo l’Urlo di Munch. Esiste anche un espressionismo che punta sull’idea esasperata del colore e sull’accoglimento di un’idea pervasiva di una nuova bellezza, insita nella natura e nelle cose, come avvenne per i Fauves, i più diretti discendenti di Van Gogh, accanto agli espressionisti stessi. Espressioni marcati, colori accesi. Tutto è specchio di una sensibilità esasperata.
VAN GOGH, COME DIPINGEVA
Mentre gli impressionisti evitavano, normalmente, il disegno preparatorio, limitandosi, in alcuni casi, a creare solo poche linee di ingombro, Van Gogh dovette discostarsi progressivamente dalla matrice disegnativa, che è fortemente presente nelle prime opere. Egli però si trovò a produrre quadri utilizzando il pennello come una matita, con interventi chiaroscurali o linee direzionali, segmenti al tratteggio, dati a olio. Si avvide che questa era una nuova strada per rendere la struttura della materia, che egli avvertiva nella prepotenza della natura. Le torsioni degli alberi, in direzione della luce. Le messi sospinte in un’unica direzione dal vendo. Le cortecce attorte e contorte. In genere, anche dove non appare un nettissimo tratteggio di colore segmentato, l’artista dava un orientamento ai propri impasti spessi di colore, come se li modellasse scultoreamente con il pennello, attratto fortemente dalle linee direzionali lungo le quali si sviluppa ogni cosa.
L’artista esordì aspirando all’equilibrio tra la griglia del disegno e la pittura. Portò avanti entrambe le tecniche cercando ansiosamente il punto di fusione, che venne trovato grazie al contatto con gli impressionisti. Se vuoi approfondire il tema degli esordi di Van Gogh, clicca, sotto il nostro link interno.
www.stilearte.it/van-gogh-gli-esordi1/
Prima di partire per la Francia, seguendo l’esempio di Millet, pittore che egli aveva amato particolarmente per il connubio di una pittura introspettive, meditativa legata però al sociale – il mondo dei contadini – Van Gogh, che usciva dal periodo drammatico della predicazione agli operai delle miniere – intraprese, a Nuenen, un corso di autoformazione, pagando i modelli che reclutava in campagna per impratichirsi con la tecnica del ritratto. Ne uscì una galleria straordinaria per tratti duri e sommari, ma altamente espressiva (se vuoi approfondire il tema dei ritratti di contadini clicca sul nostro link interno, qui di seguito (www.stilearte.it/van-gogh-macino-50-teste-per-imparare-a-dipingere/)
Per l’artista fu una grande sofferenza imboccare la strada della sintesi tra pittura e disegno, ma il suo percorso – nel corso del quale giunse ad usare anche la camera ottica – fu ricompensato da uno stile unico, che non fu compreso dai suoi contemporanei. L’artista aveva cognizione di essere in anticipo sui tempi. Per approfondire la ricerca clicca sul nostro link interno, qui sotto
www.stilearte.it/van-gogh-disegnatore-trasformo-il-pennello-in-matita-e-uso-la-camera-ottica/
Interessante risulta la stesura direzionale del colore, presente, a livello di impasto materico, in modo rinnovato, anche negli ultimi dipinti. Se vuoi vedere un super-ingrandimento di una tela di Van Gogh per osservarne tutte le pennellate e gli impasti di colore, clicca sul nostro link interno qui sotto
LE MILLE OPERE DI VAN GOGH CHE SONO ANDATE DISPERSE. UN CATALOGO PER CHI VUOL CERCARE GLI INEDITI SCOMPARSI
Mille opere sparite. Mille opere citate dall’artista e introvabili. E’ la storia documentata di un Van Gogh sequestrato. Eppure, mille opere scomparse e ritrovabili. Questa la speranza emergente nell’ineludibile testo di Antonio De Robertis e Matteo Smolizza, edizioni Illisso, dal titolo Vincent van Gogh. Le opere disperse, in cui si raggiunge una nuova catalogazione. Di un artista che disse di dipingere “come una locomotiva”, del quale si sono trovate una quantità di opere non corrispondenti alla fatica. L’opera è un’indagine intorno a un Van Gogh mutilato di una parte considerevole del suo corpus. E’ un’istruttoria sulle lettere tra Vincent e il fratello Theo. Il fratello mercante dei dipinti dell’Olandese archiviò le 800 lettere pervenutegli da Vincent
(Cfr www.stilearte.it/le-mille-opere-disperse-di-vincent-van-gogh/)
LA MALATTIA MENTALE DI VAN GOGH DIAGNOSTICATA DA Karl Jasper
Il male di Van Gogh esplode dopo anni di latenza nel suo Io più profondo. Al suo disagio psichico, che lo accompagna sin dall’adolescenza, si aggiungono nel corso degli anni altre aggravanti, quali la solitudine amorosa, il basso tenore di vita e forse una sorta di predisposizione genetica alla follia (la sorella Wilhelmine trascorre quarant’anni in manicomio, mentre il fratello Cor muore suicida), la sifilide oltre all’abuso di assenzio. La cosiddetta «fata verde», bevanda alcolica – ma soprattutto prodotta, a quei tempi con pericolosi elementi di scarto, per abbatterne il prezzo – diffusa soprattutto tra artisti e poeti dagli anni Trenta dell’Ottocento, provocava, infatti, stati mentali alterati e pulsioni aggressive e violente, oltre a una forte dipendenza e a una percezione distorta dei colori detta discromatopsia (forse all’origine del giallo surreale usato dal pittore).
Nel primo Novecento la malattia di Vincent van Gogh è stata indagata dal filosofo e psichiatra tedesco Karl Jasper, che nella sua patografia del 1922 Genio e Follia ha ipotizzato che i disturbi mentali di Van Gogh (secondo il suo parere una forma di schizofrenia) possano aver in qualche modo facilitato la sua evoluzione artistica, favorendo il distacco dai canoni dell’impressionismo, ed esasperando la sua ricerca innovativa di autenticità e semplicità, spinta quasi a pretendere che le cose dipinte diventassero vive. (Cfr www.stilearte.it/van-gogh-il-malessere-impresso-nei-campi-di-grano/)
VAN GOGH E IL GIAPPONISMO
Nella seconda metà dell’Ottocento in Europa si assiste all’affermazione di un forte interesse per la cultura giapponese.
Fra il 1850 e il 1855 cominciarono a giungere nelle principali città del Vecchio continente oggetti orientali d’ogni genere e molto presto la presenza della arti giapponesi alle Esposizioni Universali di Londra (1862) e Parigi (1878) favorì la rapida diffusione di questa moda.
La conseguenza più significativa del fenomeno va individuata nella relativa diffusione di un diverso modo di percepire la realtà: infatti, i giapponesi disegnano e dipingono a partire da inquadrature differenti rispetto a quelle utilizzate dagli occidentali, proponendo nuovi punti di vista.
L’interesse per le stampe giapponesi divenne sistematico: gli impressionisti si entusiasmarono per i loro soggetti lievi e quotidiani, per le caratteristiche formali – come l’inconsueto taglio delle inquadrature, con la particolare distribuzione dello spazio e l’insolito modo di spostare dal centro il soggetto principale – e per l’abilità degli artisti giapponesi nel cogliere le variazioni atmosferiche. I post-impressionisti furono invece attratti per lo stile grafico, fondato principalmente sul linearismo, per il raffinato gusto decorativo e le audaci sintesi formali, e ancora per i colori puri e la mancanza di chiaroscuro
In molti quadri impressionisti, ad esempio di Monet e Manet, e più tardi nelle opere di Van Gogh, si notano le riproduzioni di alcune di queste stampe. Van Gogh interpreta, in alcune copie creative, dipinti giapponesi. Punto di contatto tra Van Gogh e la pittura giapponese è il grafismo, che sottende un’importante pratica nel disegno, fondamentale, come abbiamo visto, per il pittore olandese.