di Giorgio Orlandi
Luigi Campini, nato a Montichiari il 14 agosto del 1816, appartenne alla scuola romantica che ebbe come principali punti di riferimento Francesco Hayez e Bertini, ma ciò nonostante mai dimenticò le lezioni impartite dal neoclassicismo. Fu allievo di Gabriele Rottini e ben presto si distinse come abile autore di decorazioni e di ritratti. Contemporaneamente, accanto a questa fervida attività, si dedicò con grande passione all’insegnamento sia nella scuola che presso privati.
Alla Scuola Moretto insegnò Figura a importanti personalità del panorama artistico bresciano: tra gli altri si ricordano Francesco Filippini, Arnaldo Soldini e Achille Glisenti. Proprio grazie al Campini, Filippini acquistò notevole dimestichezza con la figura, tema che inesorabilmente avrebbe animato la maggior parte delle composizioni paesaggistiche del noto pittore. Suo allievo fu anche Luigi Lombardi, l’inseparabile compagno di una vita del coetaneo Filippini: a testimonianza di questo ulteriore magistero resta un sentito ritratto in cui fu effigiato Lombardi, realizzato da Campini stesso. Contemporaneamente egli fu apprezzato insegnante di pittura nelle più note famiglie bresciane che gli commissionavano abitualmente anche numerosi ritratti.
Discordanti i giudizi storici riguardanti la sua produzione: c’era chi, come Panazza, lo definiva “tipico rappresentante della fredda accurata pittura intinta di accademismo propria dei suoi tempi” e chi lo lodava per la riproduzione dal vero, le belle e piacevoli composizioni. Curioso è inoltre ricordare il commento di Zanardelli, il quale, in occasione di una significativa esposizione organizzata a Brescia nel 1857, redasse un ampio commento scritto in 18 lunghe lettere indirizzate al giornale “Il Crepuscolo”. Oltre a soffermarsi sulle opere di artisti come Inganni, Rottini, Renica e Joli (tutti presenti per l’occasione), volse la sua attenzione nei confronti della produzione di Campini, lodandone la delicatezza di contorni e l’avvenenza di forme, ma rilevando, al tempo stesso, “mende di dettaglio” e mancanza di ideale.
Particolarmente impegnato nel panorama artistico della città, il pittore monteclarense nel 1860 divenne Socio dell’Ateneo civico, mentre nel 1867 fu anche membro della Commissione provinciale per i monumenti. Molte sue composizioni vennero presentate in occasione delle varie manifestazioni organizzate in seno all’“Arte in Famiglia”. Ricercato affreschista ottocentesco, produsse numerose decorazioni pittoriche che arricchiscono chiese e palazzi della città e provincia. Sul soffitto del Teatro Grande troneggiano i suoi gruppi allegorici della Danza, della Commedia, della Tragedia e della Musica. Sue sono gli affreschi in palazzo Bargnani, nella Cappella dedicata a Sant’Angela nella chiesa di San Francesco, nelle chiese di San Luca e delle Ancelle della Carità.
Altre ancora sono ricordate a Casto, Milano, Montichiari, Palazzolo e Manerbio. A proposito del paese natale, è curioso ricordare che il castello monteclarense alla fine dell’Ottocento giaceva in uno stato tale di abbandono che quei ruderi vennero spesso impiegati da Campini per alcune sue pittoresche vedute o ambientazioni per vicende storiche. L’artista morì a Brescia il 14 luglio 1890. In occasione della Mostra della pittura bresciana dell’Ottocento allestita in città nel 1934 venne rappresentato con cinque dipinti: “Orfeo e le Ninfe”, “Arnaldo da Brescia”, “Brianzola”, “Ritratto di Alessandro Mantice” e “Autoritratto”. Quest’ultima opera e molte altre composizioni sono attualmente gelosamente custodite dagli eredi Cassa.
Un’impeccabile pittura con preparazioni e sviluppi accademici
La scheda di restauro: abbiamo sottoposto a indagine e a recupero due opere del primo maestro di Filippini, Glisenti e Soldini. I quadri confermano la solidità tecnica del maestro
Un artista del pieno ottocento bresciano: Luigi Campini. Docente di figura alla scuola Moretto e grande ritrattista, impartisce le solide basi ed i primi rudimenti del mestiere agli allievi bresciani Filippini, Glisenti e Soldini. Sempre come docente, ma in forma privata, ha come allievi alcuni esponenti delle più note famiglie bresciane che gli commissionano anche numerosi ritratti. Sono appunto due ritratti provenienti da collezioni private della città, che presentiamo qui in fotografia, prima e dopo l’intervento di restauro conservativo. Il primo dipinto è un delizioso ritratto di giovinetta eseguito ad olio, su una tela di piccole dimensioni. L’opera giungeva a noi in laboratorio presentando un marcato appesantimento chiaroscurale, causato dall’ossidazione della vernice protettiva – ormai alterata – e da un elevato livello di sporco superficiale. L’ intervento di pulitura si è basato principalmente sull’asportazione dei due diversi strati.
Per la rimozione del livello di sporco superficiale è stato adottato un solvente a base di mucina, imbevuto in alcuni tamponcini di cotone con i quali raccogliere i sedimenti. Successivamente, dopo aver ripassato il dipinto con white spirit, si è passato a alla rimozione della vernice ossidata con un solvente idoneo a base di alcool isopropilico che ha raggiunto l’esito desiderato. Situazione sostanzialmente analoga – ma più complicata – si è presentata relativamente al secondo ritratto eseguito da Luigi Campini. Il dipinto, un olio su tela di grandi dimensioni (76×104), riconducibile agli anni Ottanta dell’Ottocento, è un ritratto di gentiluomo bresciano caratterizzato da una particolare intensità. L’opera era già stata interessata da un intervento di restauro precedente, in realtà piuttosto invasivo e con la presenza di numerosi ritocchi ormai alterati. Anche in questo caso l’intervento di restauro conservativo verteva sull’asportazione della vernice alterata e colorata (del restauro precedente) associata agli interventi pittorici ormai dissimili dall’originale. Questa particolare vernice ambrata era normalmente impiegata, secondo il particolare gusto di quel tempo, nei restauri degli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento; in casi singolari veniva utilizzata per mascherare puliture troppo aggressive o per conferire ai dipinti un’aura calda e patinata.
Si è dato inizio all’intervento di pulitura utilizzando un solvente a base di esteri, imbevuto in tamponcini di cotone. In alcune zone localizzate del dipinto e dove la vernice presentava una maggiore tenacia si è adottato un solvente a base di chetoni che ha raggiunto il risultato prefissato. Successivamente sono state risarcite alcune piccole cadute della pellicola pittorica con un impasto a base di cera resina. I vecchi interventi pittorici sono stati rimossi e reintegrati con nuovi ritocchi eseguiti con colori a tempera ed a vernice, ad imitazione dell’originale. Il restauro di entrambi i dipinti si è concluso con la stesura di un film protettivo di vernice finale (cicloesanone) mediante nebulizzazione. Una breve conclusione, giacché Campini non si discosta dalla tradizione, dedicata alle modalità di produzione delle opere. La tecnica utilizzata dal pittore è principalmente quella dell’olio su tela. Le preparazioni sono accademicamente impeccabili, quanto la realizzazione dei dipinti, per i quali egli parte sempre dalla base del disegno.
Luigi Campini (1816-1890), pittore bresciano
Lo sguardo romantico, la formazione neoclassica. Per Panazza era un artista accademicamente freddo, per il contemporaneo Giuseppe Zanardelli era delicato, ma privo di ideali. La rivalutazione del corpus del pittore