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Dopo l’annessione, le autorità austriache incaricarono l’artista di “fermare” sulla tela i luoghi più rimarchevoli del territorio lombardo. Nasceva così un genere che ebbe molti imitatori
di Margherita Zanardi Ricci
[I]l 12 giugno 1814 il conte Enrico di Bellegarde, feldmaresciallo comandante in capo dell’armata in Italia, annuncia con un proclama l’annessione della Lombardia all’Austria. L’arciduca Ranieri, principe ereditario, il 3 gennaio 1818 è designato viceré del Lombardo-Veneto, e il 24 maggio entra solennemente a Milano.
Presto, i nuovi governanti ravvisano l’opportunità di valorizzare il territorio grazie all’affermato paesaggista bergamasco Marco Gozzi (1759-1839), assegnandogli una pensione perché documenti le opere civili con dipinti realizzati sul posto. I primi lavori ordinati hanno per soggetto il ponte di Cassano, che le truppe austro-russe avevano attraversato per sconfiggere i francesi, e il castello di Trezzo. Seguiranno, nella produzione dell’artista, molti altri luoghi d’interesse economico, storico-geografico e paesaggistico: gallerie, ferriere, ponti, rovine, laghi, fiumi, torrenti e cascate. L’acqua è protagonista dei quadri di Gozzi, sia che scorra placida tra le rive o impetuosa in prossimità di un orrido, sia che diventi fonte d’energia per mulini, magli e torchi.
L’esperto pittore crea un genere di veduta che affianca alla precisione documentale del dettaglio elementi fantastici. Candidato più volte alla cattedra di paesaggio a Brera, assurge ben presto a modello da imitare. Ai partecipanti dei “piccoli concorsi” nel 1843, 1851, 1853, 1854 è richiesto di eseguire una veduta “alla Gozzi”, cosicché oggi appare spesso problematico distinguere gli originali dalle numerose imitazioni esistenti. In questi ultimi anni, alcuni dipinti conservati a Brera sono stati restaurati e si sono potuti ammirare in varie esposizioni. Non mancano, tuttavia, opere disperse, come già avevo segnalato nella monografia dedicata all’autore, edita nel 1995. Tra di esse citavo L’orrido di Nesso, dove s’incontrano con violenza i torrenti Tuf e Nosé, ordinato dall’imperatore Francesco I per la sua galleria tra il 1822 ed il 1826. Quest’ultima località è illustrata con un’incisione acquerellata da Friedrich e Caroline Lose nel Viaggio pittorico e storico ai tre laghi Maggiore, di Lugano e Como, volume del 1818 che testimonia una volta di più l’interesse austriaco per le acque lombarde.
L’incisione mi ha permesso di individuare in una collezione privata bergamasca un quadro – olio su tela, 52,7×41,3 cm – con una ripresa più ravvicinata dello stesso soggetto. L’opera, non firmata, è a mio giudizio da assegnare a Marco Gozzi, per i valori cromatici e pittorici, il contrasto chiaroscurale, la cura nel rappresentare particolari dell’acqua e le fronde degli alberi. Tipica la figura femminile che si appresta a percorrere la scalinata che porta ai pescatori. Il dipinto può essere considerato una sorta di lavoro “preliminare” dell’artista, eseguito in loco prima di affrontare la tela definitiva con il medesimo tema, destinata alla Galleria del Belvedere di Vienna ed esposta a Brera il 10 settembre 1823. Fra le opere certe, invece, il Castello di Trezzo [Costruzione e castello sul fiume con pescatori e pastora]. Di questo soggetto ho reperito in una collezione milanese una seconda versione – olio su tela, 34×44,3 cm – firmata in basso a destra. Analogo il taglio prospettico, con la rocca in primo piano illuminata dalla luce, mentre sul fondo si scorgono, in un’atmosfera rarefatta, montagne e vegetazione. In evidenza, sulla sinistra, ben disegnate, le figure di un pescatore e di due donne, una delle quali indica all’altra il castello o il tempo che sta per mutare. Si trova nella stessa collezione il pendant Paesaggio fluviale con pescatori, pastora e cavaliere, olio su tavola, 33,3×45,6 cm. Le misure sono pressoché identiche; Gozzi ha firmato sulla roccia ai piedi della mucca. Il sentiero scosceso sulla destra presenta un uomo a cavallo che si allontana, come nel quadro Campagna lombarda con effetto d’aurora, con casolari, pastori, animali e viandanti di proprietà della Pinacoteca di Brera, ma in deposito presso la Galleria d’Arte Moderna.