Una ricerca che sarà pubblicata negli Stati Uniti esamina il ruolo delle corporazioni sindacali tra Repubblica e Impero. Le dimensioni di Roma e delle grandi aggregazioni urbane portò alla nascita di strutture sociali nelle quali possiamo notare l’abbozzo embrionale di realtà moderne, prima del nuovo ordine medievale. E’ probabile che anche il passaggio degli imperatori al Cristianesimo sia stato favorito dall’assoluta necessità, finalizzata all’accentramento di potere, di annullare le corporazioni che spesso univano il culto di una divinità politeista ad azioni politico-sindacali di rappresentanza e potere. Un solo Dio, un solo Imperatore. Con ruoli intercambiabili. Tutta colpa di – immaginari – eppur palpabilissimi Marxus ed Engelsus. O dei loro antenati embrionali. E che dire di Spartacus, schiavo ribelle, assoldato quasi duemila anni dopo dall’Urss?
La lotta collettiva dei lavoratori nell’antica Roma
Sarah Bond, professore associato di studi classici presso l’Università dell’Iowa, è autrice di Strike: Labor, Unions, and Resistance in the Roman Empire. In questo testo, Bond esplora come i gruppi di lavoratori dell’antica Roma si organizzassero per sostenere le proprie rivendicazioni, fronteggiando leggi oppressive e una forte opposizione politica da parte dei leader dell’Impero.
La paura del potere collettivo
I leader dell’antica Roma, come Giulio Cesare e successivamente Augusto, temevano profondamente qualsiasi forma di organizzazione collettiva che potesse minare il loro potere. Come osserva Bond, “i Romani erano terrorizzati da qualsiasi tipo di gruppo che potesse opporsi a loro”. La loro risposta? Vietare o indebolire le associazioni lavorative, conosciute come collegia, per evitare la nascita di movimenti di resistenza potenzialmente pericolosi per la stabilità politica.
Uno dei primi esempi di organizzazione collettiva in epoca romana riguarda i Technitai di Dioniso, una corporazione di attori e intrattenitori che rivendicava sicurezza, salario equo e condizioni lavorative accettabili. Bond sottolinea come questi artisti itineranti, analogamente ai moderni sindacati dello spettacolo, sfruttassero la loro popolarità per esercitare pressione e garantire il rispetto delle loro richieste. La loro vulnerabilità – erano spesso oggetto di rapine, stupri e violenze di ogni genere – li spingeva a unirsi per tutelarsi dai pericoli legati alla professione e dai continui spostamenti. L’organizzazione corporativo-sindacale garantiva una rete di accoglienza e di sicurezza, occupandosi probabilmente anche di contratti e stagioni.
Lotte per la sopravvivenza: altri gruppi di lavoratori in rivolta
Bond, nel suo libro, esplora vari altri esempi di gruppi di lavoratori nell’antica Roma che cercavano di difendere i propri diritti. Tra questi figurano i nautai, operatori navali che minacciarono di bloccare le spedizioni di grano se le loro condizioni non fossero state migliorate, e i fornai che usarono il pane come strumento di pressione, trattenendone la distribuzione per ottenere vantaggi.
Una delle forme più radicali di resistenza fu quella degli schiavi e dei gladiatori, il cui esempio più famoso è la rivolta di Spartaco nel 73 a.C. Questo episodio, che segnò uno dei più grandi momenti di ribellione nella storia romana, mostra come anche i gruppi socialmente più svantaggiati trovassero modi per sfidare il potere imperiale. E non è un caso che, nella storia moderna Spartacus sia diventato il simbolo del contropotere comunista russo.
Contratti sindacali nell’antichità: i costruttori di Sardi
Una delle vicende più interessanti messe in luce da Bond nel suo libro riguarda i collegia dei costruttori edili a Sardi, nell’odierna Turchia. Esiste un’iscrizione del 459 d.C. che testimonia l’esistenza di un accordo scritto tra i lavoratori e i loro datori di lavoro, simile a un moderno contratto sindacale.
Questo contratto prevedeva giorni di malattia, ferie e la possibilità di sostituire un lavoratore malato con un altro membro dell’associazione, garantendo la continuità lavorativa. Il sistema di multe e penalità per la violazione delle regole dimostra l’avanzata complessità delle negoziazioni sindacali già in epoca romana.
L’opposizione delle autorità: Cesare e le leggi contro i collegia
Giulio Cesare, consapevole del potenziale sovversivo delle associazioni di lavoratori, emanò una legge intorno al 46 a.C. per proibire tutte le collegia tranne quelle più antiche e autorizzate. Questa mossa aveva un obiettivo chiaro: prevenire sedizioni e mantenere il controllo sulla popolazione, soprattutto a Roma e in Italia. Come spiega Bond, Cesare aveva compreso che queste associazioni potevano divenire veicoli di opposizione popolare, mettendo a rischio il suo potere dittatoriale.
Dopo la morte di Cesare, Augusto continuò su questa strada, limitando ulteriormente le collegia. Qualsiasi associazione che volesse formarsi doveva ricevere una licenza ufficiale. Un esempio significativo di questa repressione avvenne nel 59 d.C., durante il regno di Nerone, quando tutte le associazioni di Pompei furono vietate dopo violente rivolte, e il Senato romano sospese i combattimenti dei gladiatori per un decennio.
I collegia come espressione di identità lavorativa
Bond sottolinea un aspetto importante che lega il lavoro alla sfera dell’identità personale, tanto nel mondo romano quanto in quello moderno. L’associazione con un mestiere o una professione era una parte fondamentale della vita di un cittadino romano, proprio come accade oggi. I collegia offrivano non solo una rete di protezione economica, ma anche una comunità in cui i lavoratori potevano trovare sostegno e riconoscimento.
Il timore delle autorità romane nei confronti di queste organizzazioni derivava dal loro potenziale di mobilitazione. Bond spiega che “se togli la libertà di riunione, crei una legge che ti dà il potere della polizia e dell’esercito di sopprimere qualsiasi forma di resistenza organizzata”.
La retorica contro i sindacati: un parallelo con l’era moderna
Nel suo libro, Bond sfida l’idea che fare paralleli tra il mondo antico e quello moderno sia sempre anacronistico. Al contrario, suggerisce che il confronto con il passato può aiutarci a comprendere meglio le dinamiche delle lotte sindacali odierne. La retorica contro i sindacati, comune nell’antica Roma, si riflette anche nel linguaggio politico moderno, dove miliardari e politici attaccano i sindacati come anti-patriottici o sovversivi.
In Strike: Labor, Unions, and Resistance in the Roman Empire, Sarah Bond offre uno sguardo nuovo sulle dinamiche del lavoro e dell’organizzazione sindacale nell’antica Roma, rivelando come molti lavoratori riuscirono a ottenere concessioni significative attraverso la loro resistenza collettiva. Allo stesso tempo, il libro mostra come i governi romani cercarono di reprimere queste organizzazioni per mantenere il controllo.
I Collegia nell’Antica Roma
Il collegium nel diritto romano era un’associazione regolata da uno statuto specifico, chiamato lex collegii, che ne definiva gli scopi, gli organi e i criteri di ammissione. I collegia potevano rappresentare gilde o corporazioni di mestiere, simili ai moderni sindacati, oppure assumere forme di associazioni religiose o ordini professionali.
Origine e sviluppo Inizialmente creati per scopi religiosi (soprattutto sotto il nome di sodalitas, cioè amicizia, cameratismo che si traducevano anche in solidarietà concreta), i collegia si evolsero in associazioni con finalità sociali, culturali e professionali. Un esempio importante sono i collegia funeraticia, nati per sostenere i costi elevati dei riti funebri.
Ruolo e funzioni I collegia professionali, detti collegia opificum, avevano lo scopo di tutelare gli interessi di artigiani, medici e insegnanti, e in alcuni casi si trasformarono in strumenti di potere politico. Questi collegia potevano influenzare le elezioni, dando vita ai cosiddetti collegia sodalicia o compitalicia.
Regolamentazione e restrizioni Sebbene inizialmente le associazioni fossero libere grazie alla Legge delle XII Tavole, a partire dalla fine della Repubblica vennero imposte restrizioni, poiché molte associazioni mascheravano attività politiche illegali. L’imperatore Augusto nel 7 d.C. introdusse la lex Iulia de collegiis, sciogliendo tutti i collegia tranne quelli di antica tradizione, e subordinando la creazione di nuovi collegia a un’approvazione del Senato.
Composizione e gestione Secondo il giurista Gaio, per fondare un collegium erano necessarie almeno tre persone e un patrimonio comune (arca communis). Gli organi del collegium includevano un’assemblea generale (populus collegii), un consiglio ristretto (ordo decurionum), e funzionari come i magistri o i curatores.
Capacità giuridica Con l’introduzione della lex Iulia de collegiis, i collegia acquisirono capacità giuridica, diventando proprietari di beni e potendo essere nominati eredi, evolvendosi così in vere e proprie persone giuridiche.
Parlando sempre di situazioni embrionali che si affacciarono alla storia nel passato e che tornano con stesse dinamiche strutturale nel presente, possiamo pensare che le corporazioni romane assomigliassero alle attuali cooperative “rosse” – almeno alla nascita – dell’Emilia Romagna, dotate di banche, assicurazioni, supermercati, attività, associazioni, correnti di partito costituite in una sorta di contropotere rispetto al centralismo e dotate di un potere territoriale corporativo assoluto.