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di Andrea Gatopoulos
É difficile circoscrivere il mondo degli impressionisti: l’influenza della loro tecnica e quella delle appendici divisioniste o puntiniste, ha di fatto creato un macrocosmo di innumerevoli autori più o meno assimilabili alla corrente. L’impressionismo si spinse ben oltre i confini francesi: quei Salon, chiamati des refusés, furono forse il luogo di rottura più significativo e più dirompente dell’intera storia delle esposizioni, estendendo la loro influenza oltre i confini nazionali e persino oltre i confini della pittura. Così, in piena Belle Époque, Marcel Proust avrebbe descritto nella Recherche un gruppo di ragazze avvicinarsi al narratore: “E questa assenza, nella mia visione, di confini che ben presto avrei stabiliti, propagava per tutto il gruppo un ondeggiamento armonioso, la traslazione continua di una bellezza fluida, mobile e collettiva.”
LA NEVE E GLI ALTRI IMPRESSIONISTI (E NON)
Estenderemo il percorso già tracciato dai precedenti articoli sul rapporto tra i pittori impressionisti e la neve partendo dal 1870, anno in cui Edouard Manet, considerato un punto di riferimento iniziale per gli impressionisti pur non essendo assimilabile alla corrente, manifestò per l’unica volta interesse in materia. In Effetto di neve a Petit-Montrouge l’intero quadro è rielaborato attraverso quella pennellata fluida e sintetica che, quando Manet era ancorato agli insegnamenti realisti, aveva riempito gli sfondi de la Colazione sull’erba.
Gli edifici, sullo sfondo, hanno lo stesso colore steso sul terreno ai loro piedi, e il sistema dei contrasti è appiattito da una spessa coltre di nubi, terra d’ombra, bistro e catrame: non emerge né un punto di bianco, né un punto di nero, la scala cromatica sembra compressa tra il bianco avorio e il grigio antracite. Emerge il paesaggio di una piccola cittadina piegato dall’inverno, le cui piccole torri sembrano resistere, simili a paline da neve, facendosi spazio tra il dominante grigiore.
Ma una importante testimonianza della vastità di questa corrente – e delle direzioni differenti che, già nei suoi esponenti, aveva incominciato ad esplorare – ci viene dai paesaggi innevati dipinti dall’acquerello di Morisot.
In Paysage de neige (1880) il bianco riflesso della neve spadroneggia
sulle altre campiture e sovraespone la tela. Si ha la sensazione dell’abbaglio di un mezzogiorno di inverno, smorzato da un cielo ancora coperto di nubi: questa volta è una stesura tra il beige e il bianco avorio a soffocare la luce del sole, tra gli alberi e sullo spazio del cielo. Le sottili figure degli alberi e del ponte bastano a sintetizzare uno spazio campestre, nei pressi di una città appena abbandonata o nascosta dietro la fila di alberi a destra. Già viene ad imporsi, sulla tela, la necessità di isolare e circoscrivere lo spazio del colore: anche il germe che porterà alle riflessioni di Kandinskij potrebbe essere partito da questi primi esperimenti.
Attorno ai veri e propri protagonisti dei Salons, pur non raggiungendo mai la loro notorietà, JeanBaptiste
Guillaumin dipinse alcuni paesaggi innevati molto peculiari, tra cui spicca sicuramente
Paysage de neige à Crozant, opera prodotta verso il 1895, nella
quale irrompono, all’interno della gamma cromatica degli azzurri e dei beige, vigorose e spesse
pennellate prugna e magenta, che costruiscono per effetto ottico sfumature porpora e dorate,
sospendendo il paesaggio in una luce quasi-infrarossa. Questa pennellata, molto materica, tornerà
spesso ad essere utilizzata, qualche anno più tardi, dai pittori espressionisti.
Sottile è la neve urbana, di lì a pochi decenni rievocata da Maurice Utrille, secondo uno stile nuovo, semplificato che non punta più sul fulgore luminoso degli Impressionisti: così in La place Abesses dans la neige, (1917) Utrillo manifestava un certo
interesse verso abbozzi di cloisonnissme tanto cari a Gauguin, ed un particolare attenzione per le
irruzioni di colori particolarmente saturi. Così la piazza doveva apparirgli dal vivo, e così ne
evidenziò l’essenza cromatica e visiva in pittura.
Non è possibile confinare il fenomeno nemmeno ad una nazione: in Italia, al lavoro dei macchiaioli e delle locali “scuole della luce”
si sovrapposero le nuove suggestioni parigine.
Emilio Longoni, che poi sarebbe diventato, assieme
a Segantini, uno dei maggiori divisionisti italiani, produsse a cavallo con la Grande Guerra un
paesaggio innevato oggi esposto alla Pinacoteca di Brera, “Neve in alta montagna”, che può
essere analizzato come un vero e proprio punto di sutura tra il divisionismo italiano e
l’impressionismo. Lo testimoniano le isolate pennellate ambrate o amarantate sul letto azzurro
fiordaliso della neve, atte a creare l’illusione ottica, a debita distanza, di sfumature luminose; o
l’accenno di piccole forme color antracite, sullo sfondo, tanto indefinibili quanto necessarie a
restituire la profondità dello spazio.
Dall’alto della diligenza di Giuseppe De Nittis – in cui la neve rischiarata dal sole è una lunga lingua
di bianco ambrato, distesa su una strada che ombreggia una scura e azzurra vallata – ci riporta
nelle terre tarantiniane di The Hateful Eight. alla guida della diligenza rincorsa dalla bufera.
L’immaginario impressionista, in definitiva, ci ha lasciato una vera e propria antologia di paesaggi
innevati: al loro interno, in un bianco silenzio, uomini, donne e animali fin de siecle giaceranno per
sempre sospesi, in viaggio verso casa, piegati nella bufera, verso una destinazione galante o in
piedi in mezzo al raccolto rovinato. Come raccontava ne “I morti”, l’irlandese Joyce:
“Un leggero picchiare sui vetri lo fece girare verso la finestra. Aveva ricominciato a nevicare.
Osservò assonnato i fiocchi, argentei e scuri, cadere obliquamente contro il lampione. Era tempo
per lui di mettersi in viaggio verso occidente. Sì, i giornali avevano ragione: nevicava in tutta
l’Irlanda. La neve cadeva su ogni punto dell’oscura pianura centrale, sulle colline senza alberi,
cadeva lenta sulla palude di Allen e, più a ovest, sulle onde scure e tumultuose dello Shannon.
Cadeva anche sopra ogni punto del solitario cimitero sulla collina dove era sepolto Michael Furey.
Si ammucchiava fitta sulle croci contorte e sulle lapidi, sulle punte del cancelletto, sui roveti spogli.
La sua anima si dissolse lentamente nel sonno, mentre ascoltava la neve cadere lieve su tutto
l’universo, come la discesa della loro ultima fine, su tutti i vivi e su tutti i morti.”
Il peso della neve nella pittura dell'Ottocento, tra Manet e Morisot
Berthe Morisot, qui nel 1880, utilizza un medium lievissimo, come l'acquerello, rarissimamente usato nell'ambito impressionista, per giungere a un esito grafico di massima leggerezza e rarefazione della materia. Il dipinto ottenuto è certamente frutto di un confronto avviato dalla grande pittrice francese con i dipinti dei colleghi giapponesi, a ulteriore rimostrazione di quanto fu stretto il legame tra la pittura dell'estremo oriente e quella parigina, durante l'Ottocento e nei primi anni del Novecento. Ciò che è è interessante è l'effetto anti materico ottenuto e la mancanza di differenziazioni tra aree lunimonse, come avviene, invece,cnormalmente, nei quadri impressionisti