QUI la scheda della mostra
di Michel Draguet – Direttore del Musées royaux des Beaux-Arts de Belgique
[L’]opera di Chagall occupa una posizione singolare nella storia della modernità nel Novecento. Se nella sua attualità è da far risalire ai primi palpiti di un’avanguardia che in Russia si radicalizzerà rapidamente per dare nascita all’astrazione, nel contenuto si allontana da questa posizione categorica per inscriversi in quella che potremmo deinire modernità “alternativa”, in rottura con la corrente dominante che va dal neoprimitivismo al produttivismo, passando per l’astrazione nel senso in cui l’intendeva Kandinskij nel 1913, ino al suprematismo e al suo “senzaoggetto” o al costruttivismo e alla sua “cultura del materiale”.
Chagall testimonia un’“altra” modernità che si esprime nel superamento dell’innovazione impressionista e dei dibattiti di ine secolo. Una modernità che si afferma nel passaggio al fauvismo e all’espressionismo, nel cézannismo e nel cubismo, nel futurismo e nel primitivismo senza mai confondere il ine e i mezzi. Il suo lavoro si nutre del suo tempo senza che il nascente mondo di forme provi in lui la negazione della memoria o il bisogno di rottura che nutrono all’epoca il cammino verso l’astrazione.
Egli non appartiene a questa avventura. Molto probabilmente il suo orizzonte è troppo pieno di quella vita interiore che la sua pittura proietta sulla tela o sulla carta. Da qui – e questo “qui” determina il punto di vista sempre più marginale del pittore nel contesto avanguardista da cui si distingue per poi staccarsene – il divario che non cesserà di ampliarsi tra l’irredentismo delle forme e la carica affettiva di ciò che esse intendono esprimere. Il pittore ne ha tratto una poetica che trova uno dei suoi impulsi in quel viavai tra la deinizione di forme di cui dovremo precisare il signiicato e l’espressione di una vita che ha conosciuto l’effervescenza e la depressione, la miseria e l’amore, l’esilio e il riconoscimento.
Senza dimenticare il dubbio permanente che condurrà Chagall a non abbandonarsi mai ad alcuna formula che non sia personale. Questa resistenza alla dottrina dell’avanguardia ma non – ripetiamolo – alla sua dinamica, dona al lavoro di Chagall una dualità che tenderebbe a contrapporre, da una parte, la dimensione utopistica dell’opera impegnata nella realizzazione di un ideale intoccabile e, dall’altra, quella del favolista che traduce, riconducendole all’archetipo, le sfaccettature del gioco sociale per trarne una morale.
Favole e figure
L’arte della favola troverà la sua suprema realizzazione nell’opera di Chagall con la serie di illustrazioni per La Fontaine che Ambroise Vollard gli commissionerà nel settembre 1923, poco dopo il suo arrivo a Parigi. Uscita l’edizione illustrata delle Anime morte di Gogol’, Chagall si tufferà nell’universo del favolista realizzando tra il 1926 e il 1927 un centinaio di gouaches che rispondono alla sua scoperta del paesaggio francese. Le gouaches delle cento favole illustrate avranno grandissima risonanza.
Esposte a Parigi, da Bernheim-Jeune, alla Galerie du Centaure, a Bruxelles, da Schwartzenberg, poi da Flechheim a Berlino, verranno vendute tutte. Chagall – che non è particolarmente a suo agio con il francese – si fa leggere il testo ad alta voce da Bella. Nel 1929, Pierre Courthion segnalerà una particolarità di questo lavoro che richiede l’inlessione della voce: mentre Bella legge la favola a cui lavora, il pittore lo ferma sistematicamente sulla moralità dicendo «Questo non è per me».
Molto probabilmente vi si deve vedere non tanto l’espressione del riiuto della morale quanto la dificoltà incontrata dal pittore a illustrare la conclusione del racconto eretta a principio. Il lavoro di Chagall si preoccupa più di dare libero corso alla sua immaginazione a partire da una parola o da una situazione che a ripercorrere un’azione e la sua portata morale. importante– decostruisce i difetti e le immoralità quotidiane di un’umanità che Dio ha voluto perfettibile.
L’animale prolunga il clown e impone la logica della favola laddove si manifestava l’aspirazione utopica. All’“isola che non c’e” si sostituisce la densita di una tradizione che e saggezza e immaginazione. Chagall vi attinge una nuova liberta che placa il suo stato di esiliato permanente. Dallo shtetl alla campagne dell’Oise, dalla tradizione chassidica all’eredita classica del Settecento, le igure operano la loro rivoluzione in uno stesso movimento che avvicinera il pittore a quell’Ulisse di cui illustrera il vagabondare nel 1974-1975.
Da cui quell’allegria che si impadronisce degli esseri e degli animali senza che l’ordine naturale si debba affermare in modo ermetico. Attraverso la metamorfosi, il bestiario della favola rivendica in modo visibile la sua origine umana e permette a Chagall di riunire in una stessa poetica tradizione classica ed eredita giudaica – con le peregrinazioni delle anime erranti del Tiggun e le reincarnazioni successive descritte nel Gilgul.
Cosi, il reale non e che un istante in una progressione immemore che non si fermera inche non sara stata ripristinata l’unita originaria; quando l’uomo avra reintegrato lo stato anteriore alla Caduta; quando la ritrovata Eta dell’oro avra eradicato il bisogno stesso dell’utopia mentre l’immagine si sara issata in una scena archetipo in cui la favola dettera legge.
Teatrale, l’immagine dipinta – benche proclamata “realista” – prende le distanze dal presente. Adotta la dolcezza opalescente di un sogno per meglio sottolineare il divario che la separa dal reale e dai suoi giochi sociali. La materia diventa luida per lasciar infondere una luce dimentica delle dissonanze passate. La forza della memoria di cui sono investite igure e oggetti aspirati dalla grisaille per signiicare la pietriicazione del sogno.
Al contempo, l’immaginario palpitante colora quelle stesse forze per restituire loro intensita. Questo mondo di animali sapienti e di saltimbanchi mistici puo quindi assumere sempre piu nettamente il suo valore spettacolare. La luce investe nuovamente il colore per dargli quel calore dell’emozione che Chagall ha inseguito per tutta la vita. La sensazione traduce uno slancio vitale, forse sognato e sempre piu lontano da un’attualita che gli anni Trenta collocheranno sotto il segno della violenza e dell’odio, di cui e testimone l’evoluzione stessa del primo ciclo che l’artista ha dedicato all’illustrazione della Bibbia.
Con le sessantasei tavole terminate nel 1939 – Chagall riprendera il secondo ciclo soltanto nel 1952 – l’artista si rivela permeabile agli avvenimenti politici che hanno trasformato il decennio in tragedia. Ai calmi personaggi di formato ridotto che occupano uno spazio colmo di tonalita calde rispondono igure esaltate che invadono il campo con la loro agitazione incontrollata. Movimentata, questa pantomima angosciata si stacca ormai dagli sfondi scuri che tendono al nero profondo.
Dinanzi alla storia, l’opera di Chagall testimonia non tanto il rilusso animista annunciato da tutta la sua pittura degli anni Venti, quanto la necessita di ripensare l’umanesimo, pericolosamente minacciato dai segni della barbarie che si moltiplicano.
Al “ritorno” al passato – con cio che questo racchiude di nazionalismo e di paura dell’ignoto –, Chagall contrappone una forma di riattivazione dei valori classici in cui la modernita troverebbe nuovo respiro e l’espressionismo nuovi orizzonti. Fuori dal tempo e teso verso l’ideale, il bestiario favoloso e il suo circo onirico si scoprono un’attualita forte.
Attraverso la memoria ebrea radicata nella Vitebsk atemporale dell’opera, si risvegliano il ricordo dei pogrom, la schiera delle umiliazioni, la relegazione al margine del vivo senza dimenticare la miseria che si impone come la matrice di una umanita promessa a un errare senza ine. Il valore morale indotto dalla favola a partire dal duplice processo di animalizzazione dell’uomo e di umanizzazione della bestia sprofonda nella barbarie che suggella il divorzio dell’uomo e dell’animale.
Solo quest’ultimo porta ormai la testimonianza dell’innocenza spezzata. Chagall reagira presto alla rivoluzione a ritroso che sommerge l’Europa. All’entusiasmo ingenuo del 1917 e succeduta la cupa premonizione che conferisce al suo lavoro una portata universale. Lontano dall’incandescenza utopica della rivoluzione, il dramma che si innesca a partire dalla Guerra di Spagna assume l’aspetto di un incubo collettivo che segnera in profondita l’opera.
La figura ecumenica del Cristo – esplorata dal 1930 per rispondere alla commessa di Vollard – si impone come metafora dell’umanità sofferente e anche come punto di fuga a partire dal quale si organizza il piccolo popolo dei saltimbanchi e degli animali radunati in uno shtetl immaginario che, in seguito, si confonderà con la mitica Itaca. Nella sua pittura, Chagall traduce l’allegoria di questi tempi tormentati durante i quali si preparava la distruzione degli ebrei dell’Europa.
Tuttavia, anche qui, la testimonianza non si esaurisce in documento. Il pittore non illustra la storia in cammino. La distilla in un sogno inverso: incubo a occhi aperti di cui soltanto la presa di distanza – attraverso tutti gli artiici propri della pittura – permette di mantenere viva la speranza. Questa rimane radicata nelle igure che pullulano sotto la minaccia nascente. Non ha disertato ma si mantiene, fragile, nel tratto che isola la igura in se. Nel maggio 1941, accompagnato da Bella e dalla iglia Ida, Chagall viene “esiltrato” dalla Francia grazie all’intervento di Varian Fry e Harry Bingham.
La partenza segna un nuovo esilio che il pittore vivra dolorosamente. Arrivato a New York il 23 ottobre 1941 con gran parte della sua opera, scopre la frenesia e il ritmo di una citta che gli sembra una nuova Babilonia, dove il colore si vedra dotato di una potenza demiurgica sconosciuta. La vita e colore e il colore vuole essere forma in movimento. Con la danza– e in particolare, nel 1942, la creazione delle scenografie e dei costumi per Aleko di Cˇaikovskij, coreografato da Leonide Massine per l’American Ballet Theater che condurra Chagall in Messico dove l’arte popolare nutrira il suo immaginario – , corpi e colori si animano liberamente al di la delle possibilita intrinseche alla pittura. La scena ha funzione di ideale assoluto su cui Chagall tornera costantemente.
Rivolto a Jacques Lassaigne, dichiarera nel 1973: ≪Ho voluto penetrare nell’Uccello di fuoco e in Aleko senza illustrarli, senza copiare alcunche. Non cerco di rappresentare niente. Voglio che il colore reciti e parli da solo≫64. La danza si impone come forma di espressione totale a cui il teatro aspirava come arte conglobante. Costituisce il coronamento di un’opera ormai votata alle effusioni iridate del colore. L’utopia, per sua essenza differita, cede il posto a un sentimento oceanico che palpita nell’immagine per effetto del colore emancipato dal tratto. L’ampiezza cosi ottenuta si unisce a un sentimento solare che il pittore prova a contatto con il Mediterraneo.
Monumentale, il colore non ha più l’acidità modernista ne la grisaille animista. Incarna lo slancio vitale ricondotto all’edonismo dell’età matura. Con la ine degli anni Cinquanta, tende alla monocromia per meglio significare l’unita ritrovata. Porta un senso che, giallo, verde, rosso o blu, verra a incarnarsi nella forma ricondotta alla cifra simbolica.
Nell’intimismo della vecchiaia, Chagall lascia che la pittura incarni l’utopia che non ha smesso di confondersi durante la sua vita. La carica morale e reluita dinanzi al principio del piacere. Lo slancio vitale che ha dominato la sua pittura non e tuttavia scomparso deinitivamente. Che sia nel collage in cui il tratto si tramuta in ritaglio o in certe tele in cui la linea, divenuta incisione, riaccende le antiche lotte tra l’ininito che si sottrae e questa terra che vede la materia farsi torba prima di diventare scultura. Come nelle Pasque del 1968 svincolate da qualsiasi presente e dove interviene una nuova forma di simultaneità contrastata: del reale e dell’astrazione, della sensazione soggettiva e della saggezza collettiva, dell’assoluto e del presente, del mito e della storia. Incessantemente reinventata, l’utopia si assopisce nel tardivo infuocarsi del colore. Solo questo puo ancora pretendere alla pienezza della mente. Il racconto non e piu nella rappresentazione, ma nella pittura stessa che si indebolisce. Attraverso i suoi gesti, i suoi progressi, la certezza di essere esistito da solo in e di fronte a un mondo che e soltanto illusione.