di Stefania Mattioli
[C]urioso il destino riservato alla tavola della “Madonna della Chiesa” di Jan Provost (Mons 1465 ca. – Bruges 1529), oggi di proprietà della Pinacoteca Civica “Ala Ponzone” di Cremona. Durante interventi di restauro, le indagini radiografiche rivelarono una singolare verità: l’ombra scura che, insospettendo gli studiosi, non trovava giustificazioni plausibili nelle fonti luminose del dipinto, cela l’originaria presenza di un uomo ritratto – in ginocchio e a mani giunte – davanti alla Vergine. Anche se le dimensioni dell’immagine qui accanto sono contenute, è possibile vedere la silhouette dell’antico donatore, davanti al sacro recinto dal quale svettano la Madonna e il bambino. Figura che appare ancora più evidente se alziamo e abbassiamo lievemente la testa, osservando lo schermo. Se la rappresentazione è ispirata ad un’iconografia molto diffusa in area fiamminga nel XV secolo e può essere letta, attraverso Maria, come il simbolo della Chiesa stessa, chi è il misterioso personaggio dal manto rosso e collo di pelliccia, captato dall’occhio inflessibile della macchina?
Quando e per quale ragione è stato accuratamente occultato? Sulla sua identità non ci è dato sapere ma solo supporre. Probabilmente si tratta del donatore: un uomo di spicco della corte di Borgogna che poteva concedersi il lusso di inserire nel suo quadro – affacciati al matroneo sullo sfondo – due personaggi coronati quali Filippo il Bello (che indossa il collare con lo stemma del Toson d’oro, alta onorificenza di questa corte) e Giovanna la Pazza, genitori del più famoso Carlo V. “Se la manomissione della tavola risalisse al Quattrocento” spiega Mario Marubbi, Conservatore della Pinacoteca cremonese “l’intervento avrebbe potuto derivare dall’improvvisa scomparsa del committente, poi volutamente ‘nascosto’ dal pittore per proprie esigenze pecuniarie: il quadro andava comunque venduto. La ridipintura invece è risultata ottocentesca: la logica purista e i dictus estetici dell’epoca hanno forse interpretato la sproporzione fra l’uomo inginocchiato e la Vergine come elemento di disturbo per l’equilibrio compositivo della rappresentazione. Dunque una scelta di natura estetica, prima che ideologica.
Altri sono i particolari di rilievo che, emersi durante le indagini, documentano l’evoluzione e la genesi dell’opera: un disegno capace di libertà espressiva (ottenuto forse con una punta metallica), la presenza di un impianto architettonico diverso da quello attuale (indice di un ripensamento scenografico dell’autore) e l’impiego sapiente delle vernici, che consentono a Provost di ottenere effetti cromatici e modulazioni chiaroscurali di notevole pregio, soprattutto nella resa delle vetrate del fondale. La scoperta di questo ignoto personaggio ha un particolare significato, in quanto ha semntito l’ipotesi avvalorata nel 1998 da Gert Jan van der Sman: la tavola di Provost non è la valva sinistra di un dittico perduto, come si credeva sino ad oggi (la parte destra – secondo l’iconografia consueta – avrebbe dovuto ritrarre proprio l’effigie del donatore), bensì un’opera compiuta ed unitaria.