CONTEMPORANEA
LA VITA SEGRETA DELLE COSE
Patricia Glee Smith
è originaria dell’Illinois
ma da lungo tempo
risiede e lavora in Umbria.
La sua pittura indaga
gli oggetti quotidiani
alla ricerca di una realtà
nascosta e sconosciuta
Patricia Glee Smith è originaria dell’Illinois ma vive ed opera, da molti anni ormai, in Italia, e precisamente a Otricoli, in Umbria. Pittrice ed illustratrice di libri e riviste (ha collaborato a lungo con il New Yorker), ha seguito come artista da campo (responsabile della riproduzione disegnata degli oggetti rinvenuti) spedizioni archeologiche in Turchia, nello Yemen, in Tibet. Ha esposto in musei e gallerie di tutto il mondo, da Roma (ha partecipato alla Quadriennale) al Kunsthaus di Vienna, dal Pratt Institute di New York alla Zamana Gallery di Londra.
“Quando studiavo Belle Arti all’Università dell’Illinois – racconta, – mi venne detto che, dato che non ero un’artista astratta, non avrei mai avuto successo. Dopo serie considerazioni, decisi di continuare la mia ricerca per soddisfazione personale e solamente per me, libera dal mercato e dall’influenza delle opinioni prevalenti. Così, approfondendo le tecniche tradizionali, analizzando e comparando le opere dei grandi del passato, ho sviluppato il mio stile e delineato i miei fini”.
Patricia Glee Smith si ispira alla quotidianità, a ciò che la circonda. “Mi interessano i singoli momenti e frammenti della vita e il loro aspetto eterno, la bellezza inaspettata; l’imperfezione, anche – afferma. – Sono affascinata dall’idea dell’interconnessione fra tutte le cose. Isolo i singoli oggetti dal loro contesto, li rimarco, li amplifico, li rendo monumentali.
Non lavoro mai a più opere contemporaneamente. Dipingo a olio, ad acrilico, a tempera all’uovo su tela di lino o su legno. Procedo senza fretta, usando spesso velature. Di solito comincio con una sottopittura monocromatica a tempera. Un quadro di medie dimensioni (100×100 cm) può aver bisogno di molto tempo per essere completato, specie quando utilizzo i colori a olio, che implicano la lenta asciugatura delle velature. Attraverso il processo di queste, le forme e le cromie emergono poco a poco, quasi indipendentemente, man mano che vado avanti. Talvolta con un effetto inatteso”.
La pittrice americana esita ad incasellare il proprio lavoro secondo le comuni categorie. Cita Hopper: “Se potessi, o dovessi, spiegare a parole quello che significa una mia opera, non ci sarebbe stato nessun motivo di dipingerla”; e, ancora, Balthus: “La pittura è un linguaggio che non può essere in alcun modo rimpiazzato da un altro linguaggio. Non riesco assolutamente a spiegare ciò che dipingo”.
“Ciononostante – aggiunge Patricia, – la mia arte potrebbe essere definita come figurativa. Le mie opere sono schegge del percorso che ho compiuto nella vita. Sono testimonianze di me stessa a me stessa. Sono le mie opere che cercano me, e non viceversa. Per me l’esperienza della pittura è tutto. La stessa azione del dipingere è coinvolgente: le sensazioni che dà il fruscio del pennello quando lascia un segno sulla tela, perfino l’odore dei colori sono collegati alla riuscita del quadro”.
Tra i maestri a cui Patricia Glee Smith fa riferimento – oltre ai già citati Hopper e Balthus, – Rembrandt, Vermeer, Morandi. Come quest’ultimo, la Nostra è impegnata ad indagare “l’immaginaria vita interiore degli oggetti: la loro solidità, il loro isolamento nello spazio, il dialogo segreto che può avvenire fra di essi. Rivolgo un’attenzione particolare alla semplicità delle cose ordinarie, ad una più alta, più nascosta ragione d’essere”.