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di Vera Bugatti
Nessun studio su Leonardo nel giro degli ultimi due secoli ha mai toccato il problema di un possibile rapporto tra il poliedrico artista di Vinci e il grande filosofo Mirandola. Non che siano mancati, in passato, importanti contributi capaci di produrre i materiali per istituire paragoni possibili (basi pensare a due personalità diverse come Cassirer e Garin), e d’altra parte la consapevolezza delle differenze fra i due va costantemente tenuta viva. La sfida del confronto è stata lanciata dal convegno Leonardo, Pico – Analogie, contatti, confronti che si tenne al Teatro Nuovo di Mirandola, i cui atti sono pubblicati presso Olschki dal Centro Internazionale di Cultura “ Giovanni Pico Della Mirandola”. La giornata di studi, attraverso contributi disomogenei tra di loro – ed è questo il merito dell’impresa – ha confrontato le due eminenti figure da diversi punti di vista: dal rapporto con l’astrologia a quello con le grandi metafore della tradizione filosofica; dal problema dell’umanesimo al comune contatto con la cultura ebraica, presente e passata; ma anche la relazione dei due grandi pensatori con le arti figurative e, più in generale, con gli apparati simbolici a esse legate, come il problema del sapere scientifico e del suo statuto. L’accostamento diventa possibile anche grazie agli straordinari sviluppi che negli ultimi decenni i filoni di ricerca vinciano e pichiano hanno conosciuto, nelle rispettive specificità. Sono stati infatti progressivamente demoliti gli stereotipi del Leonardo sperimentatore ed empirico puro, ovvero precursore di ogni successiva disciplina scientifica, e del Pico neoplatonico e cabalista, puro filosofo. Allo stesso modo la critica ha evidenziato le sorprendenti analogie tra queste due personalità, sensibili alle novità culturali come al peso della tradizione, consapevolmente collocate su un crocevia epistemologico decisivo per i secoli successivi.
Nonostante infatti i due fossero diversi per formazione e sensibilità, i rispettivi itinerari li condussero negli stessi luoghi, anche se in momenti differenti, e tangenti furono le cerchie frequentate (il cenacolo mediceo, alcuni intellettuali della corte sforzesca, Ermolao Barbaro). Tuttavia, e malgrado le rilevanti diversità nelle rispettive fisionomie culturali – come quelle, anche troppo evidenti, tra un artista-scienziato “sanza lettere”, e un raffinato filosofo ed esegeta di testi latini, greci ed ebraici -, sarebbero riscontrabili alcuni tratti che permettono di istituire un fecondo confronto, un accostamento non estrinseco, ma basato sui rispettivi modi d’intervento nel dibattito storico-culturale dell’epoca. Il gruppo di lavoro, non potendo riferire a rapporti diretti, debiti o filiazioni incontrovertibili (unica traccia sicura è la frase “el Pico ne diè di opinioni”, che si trova in un tardo manoscritto leonardesco, a chiosa di un’osservazione sulla luna e sulla prospettiva dei riflessi), ha stabilito di focalizzare due distinti ma correlati piani di ricerca: quello delle questioni minute e minime, filologicamente indagabili con estrema sottigliezza, e quello del grande affresco culturale, da affermare con ampio respiro grazie allo strumentario della storia delle idee. Non si può non credere infatti che Leonardo non abbia conosciuto la vicenda che ruotò attorno alle novecento tesi di Pico, al valore di queste come sintesi mirabile di ogni corrente filosofica antica e del pensiero scolastico, e all’implicita eresia che attribuiva al demiurgo la creazione di altri mondi della vita umana.
D’altra parte l’insistenza leonardesca sul tema degli specchiamenti nell’acqua, e il rimando alla simbologia del tema neoplatonico di Narciso, si ritrovano nel Primandro di Ermete Trismegisto – ammirato da Pico – quando allude alla creazione dell’uomo. Si è riflettuto sulla mors immortalis e sull’intreccio dei contrari – armonia e caos – come terreno di un possibile confronto ad ampio raggio tra Leonardo e la cerchia dei neoplatonici fiorentini, Pico compreso. Leonardo era affascinato dalle trasmutazioni immediate della vita in morte e della morte in vita, dall’antitesi nascosta sotto la forma, dalla circolarità organica per cui il flusso universale può essere arginato dai due contenitori estetico-razionali della simultaneità e della periodicità, che lo sforzo vinciano tenta di capire, probabilmente con la complicità del caos. L’identità degli opposti, che ha un rimando ad Eraclito, si arricchisce con Leonardo di una continua metamorfosi, anche in relazione al Ficino e ai pensatori influenzati dalla scuola galenica.
Il “conciliare pugnantia” degli elementi che si armonizzano fra loro in una perenne fluttuante instabilità si rinnova nei “filosofi dei contrari”. Leonardo, Ficino, Pico. Nel XXV sonetto del Pico si nota la stessa concordia disarmonica, perfettamente in sintonia non solo con la poetica laurenziana ma anche con la “disfazione” vinciana, anche se per ragioni diverse, quintessenziali per Leonardo, filosofiche e mistiche per il mirandolano. Anello di congiunzione tra i due resta l’oprar tu déi della vita filosofica di fronte al fantasma del nulla. Cardine dell’analogia praticabile fra “componimento inculto” leonardesco e platonismo fiorentino – Pico compreso – è proprio quella morfogenesi platonica, abbastanza profonda da fecondare il campo semantico della visione, finché il caos pittorico diventa specchio del caos filosofico. Ponte tra i due sarebbe anche quel “matematismo” che avvicina la concezione cosmica su base numerica del Pico – elaborata da fonti cabalistiche grazie alla sostituzione delle lettere dell’alfabeto ebraico con i numeri – e la “Scienza” di Leonardo, come quella di Luca Pacioli, per cui il razionalismo numerico è applicabile a tutte le discipline. Il convegno si è concentrato però anche su altri piani di confronto: il pensiero amadeita, le implicazioni esoteriche e cabalistiche delle interpretazioni iconografiche; l’argomento della critica all’astrologia e il rapporto con la magia (comune la tesi dell’inconsistenza delle teorie di pretesa potestà dei segni zodiacali sulle parti del corpo ossia la melothesia); il tema della “creazione” – divina e artistica – che unisce la pittura nella concezione leonardesca, “nipote d’essa natura e parente d’Iddio” con l’Heptaplus del mirandolano; il confronto tra la pittura-magia-religione pichiana, che finiscono per svolgere la stessa funzione. Il programma scientifico vinciano, tra il 1490 e il 1500, è dominato dall’idea – condivisa con Pico – di un “punto insecabile invisibile”, che però Leonardo pone – diversamente dal mirandolano – non nell’idea ma nella natura, che prende il nome di “spirito”, inscrivendosi in un itinerario progressivo di riformulazione della nozione di esperienza (e di conseguenza del pittore come “creatore di finzioni”), Interessante in Toussaint il riferimento al Ficino medico, autore di un consiglio sulla pestilenza, di un manuale di medicina per letterati, il De vita, collega autorevole di medici come Benivieni, che fu il primo a pubblicare un manuale di patologia illustrato dal ricordo delle proprie autopsie.
Suggestivo in Piccaluga il filo rosso che lega le due genealogie di Gesù Bambino alle opere gnostiche, ai testi zoroastriani, a San Tommaso, ai Rotoli del Mar Morto, fino all’occultismo rosacrociano e al pensiero di Steiner, che ricava dagli insegnamenti cabalistici l’idea del doppio Adamo. Una prova ardua insomma quella del cenacolo di Mirandola, visti anche l’inquinamento critico provocato dall’abuso della metafisica ficiana – quasi Leonardo fosse o tutto platonico o tutto antiplatonico – e la difficoltà di “calibro” delle fonti, dato che il modo di tramandare la memoria dei due grandi è esso stesso un problema storico da decostruire, prima ancora che un documento. La filologia delle fonti come la storia delle idee vietano semplificazioni, e qui sono in gioco la storia dell’arte come la filosofia, la scienza come la letteratura, la mentalità come le religioni, in un discorso che lancia una sfida agli specialisti. Leonardo e Pico è infatti il primo contributo di una ricerca che si annuncia complessa e lunga, come si percepisce nei rinvii dei vari saggi a ricerche da approfondire, a sondaggi da effettuare. Grazie a questo scambio la trama viva delle discussioni di Mirandola si è tradotta in un arricchimento delle tesi iniziali, sulla scorta di una pluralità disciplinare che non era estranea agli stessi protagonisti dell’indagine, legati a un’incontenibile volontà di sapere.
Piacere, Leonardo. Pico, onoratissimo. L'incontro tra i due geni sul neo-platonismo
Non si può non credere infatti che Leonardo non abbia conosciuto la vicenda che ruotò attorno alle novecento tesi di Pico, al valore di queste come sintesi mirabile di ogni corrente filosofica antica e del pensiero scolastico, e all’implicita eresia che attribuiva al demiurgo la creazione di altri mondi della vita umana