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PIETRO PAGNONI, OMAGGIO ALLA VITA
L’artista bresciano,
seguace della lezione
dechirichiana,
racconta con delicatezza
e sensibilità
il tormentato rapporto
dell’uomo con la natura
Delicate farfalle e timidi pettirossi sembrano fluttuare in silenzio, quasi fossero sospesi nel tempo, in un mondo che pare avere avuto origine in un sogno delicato di bambino.
E’ così che Pietro Pagnoni, artista che è riuscito a mantenere intatte e pure quella capacità di stupirsi di fronte alle piccole cose quotidiane, ci racconta di minute e appartate porzioni di terra e di cielo entro le quali si svolge lo stupendo film della vita. Andiamo, Rinascita e Attesa sono solo alcuni esempi di paesaggi bucolici, nei quali non è mai presente la figura dell’uomo. Essi sono invece abitati esclusivamente da forme di vita animali e vegetali, che si fanno latrici di un nascosto e profondo messaggio simbolico, diventando metafore di una pace e di un’armonia che, proprio per la sua lieve consistenza, è facile a spezzarsi, insinuando, nella serenità dell’istante, presagi di morte e di sconvolgimenti.
Gli ambienti, come in Trittico, sono troppo idealizzati per apparire del tutto reali. In una luce che ricorda quella del tramonto, tre farfalle volteggiano su di uno specchio d’acqua cristallino. La parte centrale dell’opera è occupata da un prato che si perde all’orizzonte, punteggiato da omogenei e ordinate file di fiori. Nulla torba la perfezione, nulla rompe l’atmosfera quasi mistica, nemmeno il volo di un calabrone, nemmeno la traccia di un nembo, nemmeno un inaspettato soffio di vento.
Uno schema simile è utilizzato in Andiamo mentre in Rinascita e Attesa un albero scheletrico i cui rami spogli – ad eccezione di rare foglie che permangono eroicamente senza voler cedere – si protende nello spazio a ricordare ancora una volta la fragilità dell’esistenza, concetto ribadito in Attesa dai colori autunnali che rimpiazzano quelli estivi, preferiti nelle altre composizioni. In alcuni casi alberi e campi sono sostituiti da solide architetture, dal muricciolo in pietra di Poesia al possente maniero di Ieri e oggi.
Il primo quadro sembra uscire da un sogno, o meglio, da ciò che del sogno perdura. Una solida ma danneggiata porta sulla quale sosta un pettirosso, davanti un basso muro in pietra funge da appoggio per un recipiente colmo di frutta. Fuori un cielo che precede l’alba si sta lentamente rischiarando mentre una nivea luna piena coperta dal ramo di un fico si appresta a lasciare il posto al sole nascente. La scena ricorda da vicino la lezione metafisica di Giorgio De Chirico, sia nella stesura lineare dei colori sia nella geometricità degli elementi che la compongono.
Il secondo dipinto è dominato dalla possente mole di un castello per molti tratti ricoperto di edera e piante, e tutto il complesso è circondato da un bosco animato dai colori dell’autunno. Sul paesaggio veglia non giappiù l’astro notturno ma un enorme lampione/luna che ne ha simbolicamente preso il posto.
E’ allora chiaro come la tematica prediletta dal pittore di Rezzato sia indissolubilmente legata alla natura e al polivalente rapporto con l’uomo. Da una parte essa è mitica Madre, da cui tutto ha avuto origine, dea nei confronti della quale è necessario portare rispetto e riconoscenza, dall’altra è ostacolo allo sviluppo tecnologico dell’uomo, e come tale problema da eliminare.
Può capitare, infatti, che pattume, come gli involucri delle lattine, simbolo di spreco e irresponsabilità – ricordiamo che l’alluminio di cui sono costituite è difficile da smaltire e per produrlo in grande quantità si inquina molto -, siano posti in primo piano nel quadro.
Infondo, come afferma Elena Abbiatici, Pietro Pagnoni è costantemente “suggestionato dalla natura”, e per questo si fa portavoce delle “insofferenze e ingiustizie della natura oltremodo danneggiata ”, rendendo così “un omaggio alla vita nel suo semplice manifestarsi”.