[L]o scorso giugno la Collezione Peggy Guggenheim ha dato inizio a un importantissimo progetto di studio e conservazione di dieci opere di Jackson Pollock, realizzate tra il 1942 e il 1947, oggi esposte al museo veneziano. Le tele vennero acquisite dalla stessa Peggy Guggenheim, mecenate dell’artista america.
no che espose nella propria galleria newyorkese Art of This Century nel corso degli anni ’40. Nell’insieme le dieci opere rappresentano un momento cruciale nel lavoro di Pollock, ovvero il passaggio da un linguaggio pittorico relativamente tradizionale e figurativo/astratto, a quella tecnica distintiva di versare, schizzare e sgocciolare la pittura sulla tela stesa a terra.
Le indagini finora condotte attraverso analisi scientifiche non invasive hanno fatto emergere informazioni importanti sulla tecnica e sui materiali usati da Jackson Pollock con l’identificazione dei pigmenti e leganti utilizzati dall’artista. Le prime fasi e rivelazioni di questo studio sono state presentate il 10 ottobre scorso in occasione del simposio “Science and Innovation in the Study of Modern and Contemporary Art,” organizzato dall’Accademia Nazionale dei Lincei e dalla U.S. Academy of Sciences presso l’Istituto Italiano di Cultura a New York.
Durante questa seconda fase fondamentale del progetto, è stata scelta Alchemy, una delle opere più note e amate di Pollock, nonché tra i suoi primissimi dripping, che il pittore realizzò nel 1947 nello studio di Long Island, per un intervento di analisi analitica e conservazione presso l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze. Il 2 dicembre la tela è arrivata nel Laboratorio Dipinti dell’Opificio. Qui il gruppo di lavoro potrà avere pieno accesso a tutta la strumentazione nonché avvalersi della competenza dell’Opificio stesso. Alchemy verrà sottoposta a ulteriori analisi e prove in preparazione al meticoloso intervento di pulitura della sua complessa superficie pittorica costituita da diversi strati di smalto, resina alchidica e colori a olio, uniti a una complessa combinazione di diversi materiali quali stringhe, sabbia e sassolini, il tutto combinato in un impasto denso, grumi di pittura, schizzi e sgocciolamenti. La pulitura è necessaria per rimuovere lo strato di sporco accumulato negli anni, che ha compromesso la qualità estetica del quadro, opacizzando i colori e diminuendo lo spazio tridimensionale creato dalla tecnica innovativa di Pollock.
Questo progetto di ricerca, il primo in assoluto in Italia, è reso possibile grazie a un gruppo scientifico di rilievo coordinato dai dipartimenti di conservazione della Collezione Peggy Guggenheim di Venezia e dal Museo Solomon R. Guggenheim di New York, con il fondamentale contributo dell’Opificio delle Pietre Dure, del MOLAB (dell’Istituto CNR di Science e Tecnologie Molecolari e del Centro di Eccellenza SMAArt, di Perugia), dell’Istituto CNR Nazionale di Ottica di Firenze e del Laboratorio di Diagnostica di Spoleto. Il progetto coinvolge inoltre scienziati, conservatori e curatori americani che hanno già svolto ricerche sulle tecniche di Pollock. L’intervento sarà eseguito da Luciano Pensabene Buemi, Conservatore della Collezione Peggy Guggenheim, in collaborazione con Carol Stringari, Conservatore Capo del Museo Guggenheim di New York e con il Laboratorio Dipinti dell’Opificio delle Pietre Dure, istituto d’eccellenza nella conservazione e restauro di opere d’arte. Sarà la prestigiosa istituzione fiorentina a ospitare Alchemy, nello stesso momento in cui sta restaurando un’altra icona della storia dell’arte, L’Adorazione dei Magi, la pala leonardesca commissionata dai monaci agostiniani di San Donato a Scopeto e dal 1670 appartenente alla Galleria degli Uffizi di Firenze. In questa splendida cornice lo studio e la conservazione dell’antico e del contemporaneo si uniscono.
Pollock sotto la lente dell'Opificio delle Pietre Dure di Firenze
Proseguono gli studi sull’opera dell’artista americano. Il capolavoro Alchemy all’Opificio delle Pietre Dure per interventi di conservazione.