Caravaggio o il Caravaggio? Buonarroti o il Buonarroti? La grammatica nella storia dell’arte non è così scontata come appare. Se infatti, normalmente, l’articolo non si applica mai davanti al nome proprio, in ambito artistico – in modo più frequente rispetto ad altre discipline – esso, in tanti casi, appare consigliabile e, in tanti altri è tollerato. L’articolo davanti al cognome si pone, per evitare confusione, laddove un cognome o un soprannome è derivato da un toponimo molto importante come il nome di una città, di una regione o di uno stato. Facciamo un esempio: Michelangelo Merisi.
Non si dirà mai il Merisi – anche se, nel linguaggio ottocentesco l’articolo veniva spesso utilizzato per enfatizzare l’importanza del soggetto inteso come unicità irripetibile – ma Merisi. Diverso è il caso in cui si utilizzi il soprannome di origine geografica: “Caravaggio”. Se noi dovessimo intitolare una mostra ” I misteri di Caravaggio” si potrebbe ingenerare un errore di comprensione. Ci riferiamo ai misteri della basilica o della cittadina di Caravaggio, in provincia di Bergamo o a quelli del pittore?
Se volessimo riferirci ai misteri del pittore, la presenza dell’articolo non solo sarebbe corretta, ma preferibile, perché distinguerebbe in modo inequivocabile la persona dal luogo dal quale ha assunto il soprannome. “I misteri del Caravaggio” renderebbe immediatamente comprensibile, senza sottotitoli o immagini accessorie, ciò che stiamo parlando. I “quadri di Caravaggio” potrebbero essere tutti i dipinti conservati nelle case e nelle chiese della cittadina lombarda, mentre il quadri del Caravaggio si riferiscono esclusivamente a quelli dipinti dal maestro.
Sia esso cognome o soprannome, la grammatica fa eccezione, come dicevamo, con appellativi derivano da importanti luoghi geografici: si il Baviera, sì il Francia, sì il Pordenone, sì il Bibbiena, sì il Correggio, sì il Caravaggio. L’uso dell’articolo è infatti possibile nel caso di soprannomi, anche perché in buona parte d’Italia i soprannomi, di derivazione popolare, sono preceduti dall’articolo, in quanto, in buona parte derivano da nomi di luoghi, mestieri o da aggettivi sostantivati.
Quindi è possibile dire correttamente il Tintoretto (il tintore), il Moretto (il moro), lo Spagnoletto (il piccolo spagnolo) , anche se la mancata necessità di una differenziazione dal nome di luogo, lo rende pleonastico, seppur con precedenti molto diffusi nella parlata popolare.
Permane il divieto di utilizzo dell’articolo davanti a nomi o cognomi che non rinviano a località, soprattutto per una questione di eleganza e di scioltezza. No “Il Tiziano” ma “Tiziano”, no “Il Buonarroti” ma “Buonarroti”, no “ll Canova”, sì “Canova”. C’è una forma nella quale l’articolo davanti al cognome è tollerato. Facciamo il caso specifico. Il professore parla ai ragazzi: ” E adesso chiudete il Manzoni e aprite il Foscolo”. In questo caso il parla di un oggetto, di un libro. Quindi il Manzoni è il libro di Manzoni. Come il Tiziano è un quadro di Tiziano.
Nei casi di cognomi l’articolo determinativo “il” o quello indeterminativo “un” evocano l’opera del maestro indicato, in un uso che è stato rafforzato dalle necessità sintetiche del giornalismo. “Rubato un Tiziano” significa che è stato rubato un quadro di Tiziano Vecellio, mentre “Il Tiziano rubato” significa che tutti sono a conoscenza di quale sia il quadro scomparso.
Nel linguaggio ottocentesco si utilizzava l’articolo “il” o “la” davanti al cognome, come un rafforzamento dell’importanza di quel personaggio specifico, all’interno di una “gens”. “Il Canova” è assolutamente inelegante, seppur la licenza fosse giustificata dalla avvertita necessità di identificare come unico il Canova stesso.
Per i nomi propri, sappiamo bene cosa abbiamo imparato alle elementari. Carlo non “il Carlo”, Lorenzini e non “il Lorenzini”. Più tolleranza, invece, anche a causa della diffusione dell’uso, soprattutto nelle province dell’Italia settentrionale – motivato da una sottolineatura e da un rafforzamento dell’essere femminile e dell’unicità della persona di cui si parla – “la Carla” o “la Lorenzini”. Meglio che dire la sindaca o la ministra, che sono sostantivi orribili e forzati. Certi nomi comuni legati a ruoli o a professioni devono permanere invariati in una sorta di neutro. Allora è l’articolo ad indentificarne il genere di chi esercita, in quel caso, la funzione. E’ il caso di giornalista. Il giornalista o la giornalista. Nessuno, per fortuna, ha pensato di creare, nell’ambito della ridicola perequazione di genere – che è oggetto del “politicamente corretto” – , il nome giornalisto, se riferito a un professionista maschio. O chiamare il professionista stesso con il nome “professionisto” nel caso sia un maschio. L’articolo è, in questo casi, dirimente. Ci fa capre con il ” la” o con l'”il” se il professionista è un maschio o una femmina.
Ministro o sindaco non sono, sotto il profilo concettuale, sostantivi maschili, ma assumono, anche se in italiano non esiste formalmente, una valenza neutra. Il maschio è infatti una declinazione di genere dell’essere umano. La donna è una declinazione dell’Uomo. Un tempo, quando si usava utilizzare il sostantivo Uomo con la maiuscola, si faceva chiarezza sul suo uso neutro per indicare l’umanità e non il sesso.
Del resto è un errore etimologico pensare, come oggi è diffuso, che la parola Uomo derivi da humus (cioè terra) e che si riferisca al genere maschile, Esso invece deriva certamente dalla radice sacrale indoeuropea om. òmo- dal gr. ὁμο-, forma assunta in composizione dall’agg. ὁμός «uguale, simile»; lat. scient. homo- – Om è il primo elemento di parole composte, derivate dal greco o formate modernamente, nelle quali indica uguaglianza, identità, o significa «che ha il medesimo …», «che è dello stesso …». In qualche caso indica somiglianza, con la funzione che è più propria dell’elemento omeo-. In chimica, specificamente in quella organica, indica che due composti sono simili, oppure che sono omologhi e differiscono tra loro per un gruppo CH2= (per es., gli acidi ftalico e omoftalico). Si contrappone per lo più a etero- (per es., nelle coppie omogeneo/eterogeneo; omologo/eterologo; omosessuale/eterosessuale; ecc.).
Uomo significa pertanto “il mio simile”, “il mio uguale”, in una forma che dobbiamo iniziare a pensare come neutra, proprio perché ci orienta a riconoscere e ad amare “il mio simile come me stesso”. Omicidio significa “uccisione del mio simile”. Quindi femminicidio è un assurdo linguistico e ha una notevole comicità di suono. Non è certo possibile ripristinare la maiuscola – Uomo – perché apparirebbe antipaticamente desueto e retorico. Ma possiamo iniziare a riutilizzare il sostantivo Uomo in forma neutra, distinguendolo, nelle sfumature del discorso, dalla forma uomo, che indica anche il maschio della nostra specie.
Donna deriva invece, come ben sappiamo, da domina, “signora” intesa come padrona. E pertanto persona di sesso femminile della specie umana. (curuz)