Mimmo Rotella, nel 2011, nel corso di un’intervista a Stile arte, raccontava così, a Enrico Giustacchini, la genesi dei suoi quadri: “Fino alla nascita dei décollage, nel 1953, io facevo della pittura neo-geometrica. Avevo studiato tutti gli stili e tutti i più grandi maestri, da Kandinskij a Mondrian, da Picasso a Matisse. Poi mi trasferii per due anni negli Stati Uniti, e realizzai una mostra anche lì”.
“Quando tornai in Italia, non volevo più dipingere, perché ero giunto alla conclusione che tutto ormai, in pittura, fosse stato fatto. Una mattina del ’53, mi trovavo nel centro di Roma, e osservavo i muri completamente tappezzati di manifesti pubblicitari lacerati. Ciò mi colpì moltissimo, e pensai: ‘Ecco le nuove immagini che io devo dare al pubblico’. Nessuno aveva mai fatto questo. Così è nato il décollage: è stata una sorta di… illuminazione zen. Allora uscivo di notte dal mio studio e rubavo i manifesti dai muri. Una sera venne a vedere i miei lavori un critico giovane e molto intelligente, un filologo, Emilio Villa. Fu entusiasta, e mi disse: ‘Tu stai inventando una nuova forma d’arte, che va al di là della pittura’. Mi invitò ad allestire una mostra con sei pittori romani sul Tevere”.
“All’inaugurazione – proseguiva il pittore – c’era un critico americano, il quale sostenne nella sua recensione che l’unico a proporre un nuovo messaggio ero io. Mi definì ‘neo-dadaista’. Dopo questo articolo, arrivarono altri noti critici e galleristi, anche dalla Germania. Fu così che ottenni il mio primo, vero successo”.
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