Roberto Malquori, fiorentino, è tra coloro che hanno sin dagli anni Sessanta dato vita alla risposta italiana alla Pop art, oltrepassando rapidamente, con l’originalità del suo lavoro, i confini del nostro Paese. Fu, ad esempio, l’unico connazionale ad entrare nel Bauhaus situazionista scandinavo, movimento internazionale fondato nel 1959 da Jörgen Nasch e da Asger Jorn, figure centrali del gruppo teorizzato da Guy Debord. L’attività creativa di Malquori acquista una sua maturità, con la definizione originaria di una poetica che sarà poi sviluppata con grande coerenza già nel 1963, quando prendono forma le prime opere di straordinaria modernità chiamate Iconosfere, Computer, Interrelazioni. In esse si affastellano e rigenerano immagini tratte dal mondo dei mass-media, parole, volti e loghi, oggetto di una rielaborazione sulle tele attraverso l’invenzione di una particolare tecnica che lo stesso artista spiega così: “Un décollage, ovvero trasferimento delle immagini, assemblate come meglio credevo… ecco che accostandole, moltiplicandole, sovrapponendole, potevo rappresentare lo spazio ricolmo delle raffigurazioni proposte continuamente dai mezzi di comunicazione”.
Dopo oltre quarant’anni di attività, Malquori è ancora protagonista di un’incessante ricerca. Negli ultimi tempi, le sue opere si sono peraltro aggiornate, arricchendosi di icone tratte dal mondo digitale, dalla realtà virtuale e dal cyber-spazio. Una ricognizione puntuale di tutto l’arco dell’attività di quest’artista è proposta nella grande mostra allestita dalla galleria Colossi di Brescia, che per l’occasione ha collaborato con l’Archivio Roberto Malquori. L’evento rappresenta la prima antologica dedicata al maestro. Attraverso oltre cento opere, consente al pubblico di percorrere un itinerario denso di suggestioni culturali, ma anche legate all’evoluzione del costume e della società.
L’esposizione è accompagnata da un ampio catalogo con testi critici di Walter Guadagnini e Ilaria Bignotti ed un’introduzione di Daniele Colossi. “Ho scelto di addentrarmi in un periodo, quello degli anni Sessanta, dove l’arte si lega a doppio nodo alla poesia, la tecnologia all’ispirazione, la macchina al sogno – scrive Colossi -. Roberto Malquori aveva scelto di esserci in quel mondo, senza troppo ‘gridare’ la sua presenza: certo che ad ‘urlare’ fossero già le sue opere, intriganti mondi riemersi dal panorama delle immagini e dalla selva di parole e simboli, segni e icone, che fra la Pop art e la Poesia visiva si affastellano in una ‘iconosfera’ sempre nuova e cangiante. Basterebbe questa parola, scelta da Malquori come frequente titolo dei suoi lavori, a dire quanto sia intensa e pregnante, a tutt’oggi, la sua attività in Italia e in Europa. Ricordo l’effetto che su di me esercitarono le sue opere, sin dai nostri primi incontri. Tele ricolme di colori e simboli, di volti e di racconti, arrotolate in contenitori tubolari: moderni cartigli, preziosi documenti che l’artista lascia alle generazioni future, seguendo una tradizione antica, secolare, nata dalla volontà di non dimenticare, di raccontare e raccontarsi, di lasciare ai posteri ‘mappe’ con cui orientarsi nel labirinto della creazione. Finalmente ‘aperte’ e intelaiate, oggi, si mostrano in tutta la loro freschezza, in tutta la loro energia comunicativa”.
Roberto Malquori, effetto pop
Tra i protagonisti della risposta italiana al movimento esploso in Inghilterra e negli Usa, Roberto Malquori e la sua carriera segnata da una ricerca coerente ed originale