La scultura lignea di Cristo in Croce – probabilmente scolpita da Salvator Dalì -, getta nuova luce sull’aspetto psicologico e spirituale dell’artista catalano. L’opera fu scoperta tra gli oggetti personali di padre Gabriele Maria Berardi (al secolo Francesco Maria Berardi), deceduto nel 1984, sarebbe una sorta di ringraziamento che il principale esponente del Surrealismo volle indirizzare al suo esorcista.
Il religioso, nato a Carpegna, nei pressi di Pesaro e Urbino, fu sospeso a divinis dall’Ordine dei Servi di Maria, a causa del mancato rispetto di alcuni impegni finanziari legati alla missione caritatevole che aveva precedentemente fondato. Si trasferì così in Francia dove svolse vari mestieri ed esercitò l’attività di esorcista, pur essendo diventato, per ordine della Chiesa, laico. Nel 1947 ricevette la visita di Dalì che, in crisi mistica, col timore “di morire senza cielo” –come scrive in uno dei suoi testi – cercò di controllare la propria spiritualità controversa.
L’artista, infatti, conviveva con una precaria condizione psichica che lo aveva turbato sin dall’infanzia. Nato a Figueras l’11 maggio 1904, era stato chiamato dal padre con lo stesso nome del figlio primogenito, scomparso prematuramente tre anni prima. Questa condizione di “fantasmatico doppio” certo non giovò alla mente del piccolo Salvator, che si sarebbe avvicinato alla pittura – come luogo delle proprie visioni -, sin dall’adolescenza, periodo nel quale produsse ed espose le sue prime opere, che riscossero un discreto successo. Iscrittosi nel 1921 all’Accademia di Belle Arti, Dalì strinse una forte amicizia con il regista Luis Buñuel e con il poeta Federico Garcìa Lorca. L’anno seguente venne espulso dalla scuola e, trasferitosi a Parigi, conobbe Pablo Picasso. La sua pittura subì influenze cubiste, futuriste, surrealiste; fu attratto dalle opere di Ernst, Mirò, Tanguy, maestri dell’inconscio.
Le opere di Dalì, influenzate dalla pittura metafisica di Giorgio de Chirico e dalla psicoanalisi freudiana, “tendono a coniugare un realismo quasi accademico con un delirio deformante, Talvolta macabro”. La pazzia conviveva, nella mente dell’artista, con la ricerca dell’aldilà. Ciò lo portò, nel 1947, a rivolgersi a padre Gabriele Maria Berardi, con la richiesta di allontanare il demonio dalla sua anima. La scultura in legno (60 x30 cm) ricevuta dal religioso sarebbe dunque un segno di riconoscimento per il favore ricevuto. E’ di questo il parere il critico d’arte Armando Ginesi che, in collaborazione con due studiosi spagnoli, specializzati nell’analisi delle opere di Dalì, ha riscontrato “sufficienti motivazioni stilistiche” per confermare l’autenticità della scultura. Sempre secondo Ginesi, questa Croce, rappresenta la “pietà filtrata da un senso del paradossale: mentre la figura rappresenta la morte e la sofferenza che l’hanno preceduta, il colore chiaro di Dio (che spicca sul marrone scuro della croce) sembra alludere alla positività e dunque alla vita”.
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Salvador Dalì scolpì un crocifisso da donare al suo esorcista
Il religioso, nato a Carpegna, nelle Marche, fu sospeso a divinis dall’Ordine dei Servi di Maria, a causa del mancato rispetto di alcuni impegni finanziari legati alla missione caritatevole che aveva precedentemente fondato. Si trasferì così in Francia dove svolse vari mestieri ed esercitò l’attività di esorcista, pur essendo diventato, per ordine della Chiesa, laico. Nel 1947 ricevette la visita di Dalì che, in crisi mistica, col timore “di morire senza cielo” –come scrive in uno dei suoi testi – cercò di controllare la propria spiritualità controversa