di Roberto Manescalchi
da un’idea di Giovanni Cangi
Non amo particolarmente Raffaello da Urbino “il divino” e fossi stato una dama dell’Ottocento in Francia non l’avrei certamente data a chi mi avesse tentato con la più scontata e inflazionata tra le frasi di quel periodo: “Siete bella come una Madonna di Raffaello”. Ricorre, tuttavia, l’anno del quinto centenario della sua morte e a me che perdo tempo tra Leonardo e Modigliani, intanto che dovrei occuparmi di Piero della Francesca – ci tornerò prestissimo – corre pur sempre l’obbligo di scrivere qualcosa di originale per questo giornale che non può certamente ignorare e non ignora il maestro urbinate.
“Il divino”, nacque ad Urbino il 6 aprile 1483 (ma in realtà il 28 marzo) e mori a Roma il 6 aprile 1520.
L’alterazione della data di nascita è servita per porre l’artista in relazione con la visione divina che i contemporanei nutrivano di lui. Del resto c’è chi fa coincidere l’ora della sua morte esattamente con l’ora della morte del Cristo: le ore 3 del venerdì prima di Pasqua. Il buon Giorgio (Vasari) ci dice che la morte gli sopraggiunse dopo quindici giorni di malattia, iniziatasi con una febbre “continua e acuta”, che sarebbe stata causata da “eccessi amorosi”, e inutilmente curata con ripetuti salassi e, forse, a nostro parere, sarebbe stato più giovevole qualche zabaione. Morì, quasi sicuramente, di più prosaica sifilide o, a seconda della latitudine da dove si sta scrivendo, mal francioso o morbo napolitano. Quello di Raffaello per tale Margherita Luti (l’identità della modella è controversa) figlia di un fornaio di Trastevere in contrada Santa Dorotea e passata alla storia col nome di “Fornarina” (Fot.1)
è amore che qualcuno ha definito eterno, ma pare che il giovane talento non disdegnasse di sguardi allusivi anche qualche amico (Fot.2 – autoritratto con amico, nella celeberrima Scuola di Atene, affrescata nella Stanza della Segnatura in Vaticano), e (Fot.3, sempre autoritratto con amico, ma sembrerebbe uno nuovo, conservato al Louvre). La lue, quindi, a seguito di una qualche abusata pratica disinvolta, più che l’intervento divino, ci sta tutta, ma questo non è il tema della trattazione odierna.
Giorgio, Michele e Crescenziano, che furono Santi, con il divino hanno invece e di sicuro una qualche attinenza: Raffaello ha dipinto due versioni del San Giorgio e il drago databili entrambe, più o meno, al 1505. La prima, una tavoletta di 28 cm x 22, dipinta ad olio è conservata nella National Gallery of Art a Washington (Fot.4; l’opera è firmata sulla bardatura del cavallo); la seconda, sempre olio su tavola di 31 cm x 27, è conservata nel Museo del Louvre a Parigi (Fot.5).
Del San Giorgio e il drago (versione Washington) conserviamo due disegni preparatori. Il primo (Fot. 6), sempre nella galleria di Washington, pare appena abbozzato e privo della principessa, il secondo (Fot.7), nel Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, più definito, completo di principessa e meglio corrispondente alla versione definitiva. Del San Giorgio, versione Louvre, un solo disegno (Fot.8), sempre nel Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, privo di principessa. Quest’ultimo rimanda con forza alla grafica di Leonardo che ci sovviene nel modo di trattare la testa del cavallo e la postura del medesimo, nella fisiognomica del volto del San Giorgio, nella volumetria e caratterizzazione del drago, nella trattazione del panneggio del mantello del San Giorgio. Quanto sopra confermerebbe la datazione dell’opera riferibile agli anni della più pregnante frequentazione dei due ad iniziare dal loro probabile incontro a Città di Castello nel 1502. Detto del San Giorgio occorre trattare del San Michele sempre con il drago (Fot. 9), dipinto ad olio su tavola di 31cm x 27 cm, stessa datazione dei precedenti e ancora al Louvre.
L’opera è citata per la prima volta in un sonetto del Lomazzo assieme al San Giorgio nello stesso museo, il che ha fatto pensare che le due opere formassero una sorta di dittico, anche per le analogie nelle misure e nel soggetto. Sempre secondo il Lomazzo l’opera era stata ceduta da un milanese ad Ascanio Sforza, conte di Piacenza. Passata in seguito nelle collezioni del cardinale Mazzarino, finì nelle raccolte reali di Luigi XIV, che sono poi confluite nelle collezioni del Louvre. Del San Giorgio esiste una versione in cui il Santo sconfigge Satana (assimilabile al drago che è pur sempre figura malefica e satanica). Si tratta di un grande dipinto ad olio su tavola (Fot.10) trasportato su tela di 268 cm x160 datato 1518.
L’opera è firmata e datata sull’orlo della veste del Santo: “RAPHAEL VRBINAS PINGEBAT M.D.XVIII”. Nessun dubbio quindi sulla paternità, ma gli interventi di restauro del Primaticcio (antesignano dei moderni cui andrebbero mozzate le mani), nel 1537-1540, e in seguito del Guélin (non certo migliore del Primaticcio), nel 1685, unitamente al trasporto su tela del 1737, hanno compromesso la superficie pittorica. Pare inoltre che pur assumendosene la paternità il maestro abbia dipinto solo alcune parti delegando le rimanenti al solito Giulio Romano. E Crescenziano? Sembrerebbe non pervenuto che Raffaello se ne sia dimenticato? Cercheremo di sostenere il come non sia possibile. Crescenziano o Crescentino fu sicuramente Sauroctono (uccisore di draghi) tale e quale Giorgio e Michele. San Crescenziano è uno dei patroni di Città di Castello, località nei pressi della quale – Pieve de’ Saddi* – sarebbe stato martirizzato intorno all’anno 287 (secondo altri il 1 giugno del 303). Se l’origine del culto nacque nell’alta valle del Tevere è ad Urbino, tuttavia, che il santo troverà il suo centro cultuale e cambierà nome in San Crescentino. Il corpo del Santo che subì il martirio per decapitazione fu trasportato ad Urbino dal beato Mainardo per disposto del Vescovo Fulcone. Il corpo ad Urbino e la testa a Città di Castello, oggi in Cattedrale, fugano qualsiasi dubbio sul fatto che Crescenziano e Crescentino siano perfettamente identificabili nella stessa persona. Il Santo, dal punto di vista iconografico è rappresentato nella precisa identica maniera del San Giorgio a cavallo (Fot.11 – bassorilievo del XIII sec. a Pieve de’ Saddi-) o del San Michele ritratto a piena figura, mentre incede eroico sopra il demonio schiacciandolo col piede e preparandosi a colpirlo con la lancia appuntita (Fot.12 maioliche urbinati del XVI sec.).
A partire dalla fine del XV secolo e agli inizi del XVI. il santo comincia ad essere raffigurato con un elmo in capo. Sembra infatti che a seguito di lavori di ristrutturazione della Pieve commissionati dal Vescovo Giulio Vitelli (1458-1530 -vescovo guerriero più volte al seguito di suo fratello Vitellozzo, generale del Valentino e signore di Città di Castello al tempo di Raffaello) sia stato rinvenuto l’elmo di Crescenziano/Crescentino che, ci eravamo dimenticati di dirlo, fu legionario romano. Che dite voi sarà mai venuto in mente a Raffaello il Santo patrono della sua città natale e o quello (lo stesso) di Città di Castello, sua città d’elezione nei primissimi anni del cinquecento, intanto che disegnava e o dipingeva soggetti analoghi anche se certamente più noti? Di sicuro le opere di Raffaello sono tutte databili in anni che, appena lasciata Urbino era ancora legatissimo a Città di Castello dove, comunque ed in ogni caso aveva operato fino a pochi mesi prima. Nei disegni e nei dipinti di Raffaello il San Giorgio è sempre raffigurato con il capo coperto da un elmo ed anche la piccola tavoletta del San Michele presenta il Santo dotato di simile accessorio. La principessa che è liberata da San Giorgio e che non c’era a Città di Castello ai tempi di Crescenziano è dimenticata da Raffaello su due disegni su tre. Ci sovviene il dubbio che l’unico a non far confusione tra i Santi possa essere stato tale Viti Timoteo che nella sua Madonna col Bambino e Santi (Fot.13), oggi nei depositi di Brera, raffigura certamente San Crescentino e San Donnino ai lati della Vergine.
Il dipinto, è una delle opere più importanti di Timoteo (Urbino, 1469-1523), personalità eminente della scena pittorica del Montefeltro all’inizio del Cinquecento, la cui attività si intrecciò con quella di Girolamo Genga e del più giovane Raffaello di cui fu amico e aiuto a Roma negli affreschi in Santa Maria della Pace (evidenti i rimandi alla maniera di Raffaello anche nell’opera citata).
Tradizionalmente le due piccole tavole del San Giorgio ed anche il piccolo San Michele sono riferite a un dono di Guidobaldo da Montefeltro ad Enrico VII d’Inghilterra come ringraziamento per essere stato insignito, come suo padre Federico, dell’ “Ordine della Giarrettiera” e ci suona strano che Guidobaldo inviasse il San Giorgio al Re d’Inghilterra in luogo dell’icona del patrono di Urbino…, ma, direte voi, c’è la principessa! Eppure si fosse trattato di San Giorgio difficilmente Raffaello avrebbe omesso la “Croce Rossa” in campo bianco che gli Inglesi avevano ereditato dalla gloriosa Repubblica Marinara di Genova… croce di San Giorgio appunto (Fot.14, Libro d’Ore Latin 1173 (1475-1500), Biblioteca Nazionale Francia; Fot.15, Codice (mariegola) della Confraternita della Beata Vergine della Misericordia di Chirignago, Archivio parrocchiale di Chirignago, VE).
L’omaggio al Regno d’Inghilterra, in ogni caso c’è e ci pare possa essere nel San Michele (anche l’araldica del Santo prevede una Croce bordonata, sempre rossa in campo bianco, come arma individuale). A Pieve de’ Saddi non mancavano le costole del drago ucciso da Crescenziano e, nel solco della migliore delle tradizioni familiari e poi vedremo perché, nel 1780, una fu portata nella sua casa di Urbino, dal Conte Crescentino Ubaldini. Il Conte aveva certamente ben chiaro di aver avuto, antenato di famiglia, proprio il Duca Guidobaldo da Montefeltro che, più propriamente si dovrebbe dire Guidobaldo degli Ubaldini da Montefeltro. Ottaviano Ubaldini della Carda (il ‘mago’ raffigurato in bassorilievo -Fot.16- con Federico in pari dignità) ne fu infatti il fratello e fu quindi zio del di lui figlio Guidobaldo di cui fu anche tutore. Per chi non ci capisse granché ci converrà spiegare che in assenza di figli maschi il vecchio Oddantonio -primo duca di Urbino- penso bene di far passare per suo uno dei figli del suo generale Bernardino Ubaldini… Federico II da Montefeltro.
Ci stavamo quasi per dimenticare che Ottaviano, antenato del Conte della costola del drago -balena fossile?- di Pieve de’ Saddi, signore del sapere (le sue insegne sono il ramoscello di ulivo unitamente al libro aperto e a quello chiuso, cfr. la foto del bassorilievo), si occupò di qualsivoglia tema iconografico all’interno del palazzo, Federico regnante e per molto tempo lo fece anche per suo figlio Guidobaldo (entrambi condottieri di ventura e dediti alle armi più che alla conoscenza). Fu quasi certamente Ottaviano a commissionare a Raffaello il ritratto del nipote (Fot. 17), che è pure datato negli stessi anni dei Sauroctoni.
Così anche nel caso che Raffaello avesse dipinto e disegnato i vari San Giorgio in assenza di pensieri riferiti ad Urbino, Città di Castello e Crescenziano/Crescentino… Ottaviano avrebbe certamente provveduto a ricordargli il tutto. Il ‘Mago’ aveva già ordinato e commissionato a Laurana, Francesco di Giorgio Martini e, soprattutto, a Piero della Francesca oltre che a Giovanni Santi padre dello stesso Raffaello… nessun problema con il giovane maestro che era già Raffaello, ma non ancora “Divino”. No! Se il nostro si fosse dimenticato di Crescentino troppi elementi e persone avrebbero potuto contribuire alla sua memoria, ma non era nelle corde di Raffaello alcuna possibile dimenticanza!
*AAVV; Pieve de Saddi, un luogo alle origini del cristianesimo altotiberino; in: Architettura e Territorio n. 10; Petruzzi Editore; Città di Castello, 2011.
San Giorgio, San Michele e San Crescenziano o Crescentino. Raffaello e gli uccisori di draghi
La sovrapposizione iconografica di diverse figure di santi - impegnati cavallerescamente nell'uccisione del demonio in forma di drago - portò allo sviluppo di un'immagine mediata di un super-cavaliere che tenne conto, in una sorta di somma, delle potenze espresse dagli attributi di ciascun, singolo santo - L'elmo del protettore di Raffaello Sanzio