Schad, una cicatrice sul collo della modella e un oscuro narciso in fondo alla stanza

INGRANDIMENTI - Tra i più suggestivi ritratti del Novecento, un posto d’onore meritano quelli realizzati a partire dagli anni Venti da Christian Schad (1894-1982), pittore tedesco esponente, accanto a Beckmann, Grosz e Dix, della Nuova Oggettività


di Chiara Bertoldi

[T]ra i più suggestivi ritratti del Novecento, un posto d’onore meritano quelli realizzati a partire dagli anni Venti da Christian Schad (1894-1982), pittore tedesco esponente, accanto a Beckmann, Grosz e Dix, della Nuova Oggettività (die Neue Sachlickeit).
Nato in un’agiata famiglia aristocratica, dopo gli studi all’Accademia di Monaco viaggiò molto. Inizialmente si trasferì a Zurigo, poi a Ginevra dove abbracciò il movimento Dada e, già nel 1918, diede vita alle sue prime “Schadografie”, ovvero nuove espressioni di fotografia astratta che ben presto sarebbero state riprese anche da Man Ray. In Italia trascorse cinque anni, dal 1920 al 1925 ed ebbe così modo di accostarsi alla pittura italiana: da una parte subì il forte influsso di Raffaello e della sua “Fornarina”, dall’altro quello di Felice Casorati. Nel 1924 si sposò ad Orvieto con Marcella, una ragazza romana. Dal 1928, dopo un soggiorno a Vienna, si stabilì invece a Berlino.

A partire dal 1921 iniziò a dipingere abbracciando uno stile realista che gli permise di criticare profondamente la società borghese, mostrandone impietosamente il decadimento morale nascosto dietro una labile facciata. Ecco dunque materializzarsi le sconvolgenti effigi di seduttrici solitarie, di musicisti, medici, scrittori, ma anche di circensi, esponenti di un mondo che sempre affascinò Schad. Le sue figure sono inesorabilmente solitarie, anche se immerse in un contesto sociale, soffrono per il loro isolamento ed alienamento e sembrano corrose dai mali di quegli anni. Se erano questi i temi ricorrenti nella produzione tedesca (e non solo) del tempo, a differenza di Grosz e Dix, egli non era solito utilizzare la caricatura, al contrario criticava la società attraverso dettagli freddi, congelati e talvolta incomprensibili, enfatizzando impietosamente la distanza incolmabile tra i suoi personaggi.
Emblematico a tal proposito “Autoritratto” del 1927, uno degli autoritratti più intriganti del XX secolo. Il pittore, vestito con una curiosa camicia verde trasparente, fissa lo spettatore con aria distaccata, mentre dall’altro lato dell’opera una modella nuda, dal profilo aguzzo guarda altrove. Entrambi sono immersi in una profonda e disarmante solitudine. A colpire sono inoltre i particolari: il narciso dall’oscuro significato sullo sfondo del dipinto e la villana cicatrice che solca impietosamente il collo della donna.

Christian Schad, “Autoritratto”, 1927
Christian Schad, “Autoritratto”, 1927

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Redazione
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