Sigfrido Bartolini. Una voce fuori dal coro. Critiche al sistema dell'arte contemporanea

Nell’opera sono contenute taglienti letture critiche rivolte in maniera trasversale anche a molti grandi protagonisti del panorama artistico del XX secolo. Dal “genietto bizzarro” Andy Warhol al “dolente-ebbro” Filippo de Pisis, dal “personaggio per eccellenza” Marcel Duchamp al “giornalista a colori” Renato Guttuso, e ancora Lorenzo Viani, Henry Moore, Paul Delvaux, Marc Chagall, Mino Maccari, Ottone Rosai, René Magritte, Amedeo Modigliani, Michelangelo Pistoletto. Senza alcuna remora, Bartolini ha saputo affidare alla sua prosa schietta e priva di fronzoli una visione lucida e decisamente disincantata

Il “testamento spirituale” del critico acuto e graffiante, scomparso nel 2007, Un volume che denuncia le “mistificazioni” dell’arte contemporanea. E non si salva quasi nessuno



[“I]l bambino che vede il re nudo e ha il coraggio di scrivere quello che nessun altro scriverebbe”. Con queste parole Vittorio Sgarbi si riferiva a Sigfrido Bartolini, pittore e incisore, ma anche critico d’arte acuto e graffiante. Scomparso nel 2007, Bartolini ha lasciato una cospicua eredità di saggi e articoli che riverberano quella schiettezza di vero toscano e quel sostanziale anticonformismo che ne hanno fatto una delle voci più originali del panorama culturale italiano degli ultimi anni.
Nato a Pistoia nel 1932, Bartolini ha lungamente affiancato al lavoro creativo, che lo aveva condotto a dedicarsi con una certa predilezione all’incisione (alcune sue opere sono conservate al Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi e alla Biblioteca Vaticana), un’intensa attività intellettuale, svolta nel segno di una presa di posizione contro le leggi di un mercato che, a suo giudizio – più volte ribadito -, “strappa l’arte dalla vita, alimentando l’inganno”.
Il libro La grande impostura (192 pagine, 13 euro, casa editrice Polistampa),  rappresenta un vero e proprio testamento spirituale di Bartolini. Il volume, come recita il sottotitolo Fasti e misfatti dell’arte moderna e contemporanea, raccoglie una lunga serie di scritti che ci consegnano la sua puntuale disanima e il suo grido d’allarme nei confronti della situazione attuale, dominata da quella che egli definiva “una vera e propria mafia culturale”.
Nell’opera sono contenute taglienti letture critiche rivolte in maniera trasversale anche a molti grandi protagonisti del panorama artistico del XX secolo. Dal “genietto bizzarro” Andy Warhol al “dolente-ebbro” Filippo de Pisis, dal “personaggio per eccellenza” Marcel Duchamp al “giornalista a colori” Renato Guttuso, e ancora Lorenzo Viani, Henry Moore, Paul Delvaux, Marc Chagall, Mino Maccari, Ottone Rosai, René Magritte, Amedeo Modigliani, Michelangelo Pistoletto. Senza alcuna remora, Bartolini ha saputo affidare alla sua prosa schietta e priva di fronzoli una visione lucida e decisamente disincantata.
Illuminante, a questo riguardo, è la censura tout-court rivolta alla Biennale veneziana del 1993.Nel testo, egli non risparmiava caustiche stroncature alla manifestazione, descritta come un insieme di “rottami di auto e di moto, reti e materassi, foto porno, vasi da conserva, resti di macchinari irriconoscibili, manichini slogati, stracci, plastica a non finire e residui edilizi”, nel quale, peraltro, “non è dato di trovare un segno, un filo di speranza, un’oasi di ristoro da qualsiasi parte si cerchi, ovunque ci si volga; sconosciuta la poesia, spento il sorriso, morta la pietà, assassinato il sogno”.
Aggiungeva, Bartolini, senza celare una rabbia sdegnosa: “Non c’è traccia d’arte in questa mostra, non ci sono poeti ma solo profeti di sventura avvenuta”. In un articolo dedicato invece all’edizione del 2001, scriveva: “Il tutto, per chi sa leggere tra le righe, ha il sapore acre della parata in maschera che nasconde la tragedia. Tramontato da tempo il gusto per la bellezza, e gia superato da tempo quello breve del repellente, è rimasta la noia. Tutto è stato consumato; resta solo la vanità a tenere in piedi la fiera”.
Palesemente avverso ad ogni sterile convenzione, pronto a inimicarsi colleghi e cortigiani pur di difendere i propri punti di vista, Bartolini fu sopra ogni altra cosa un intellettuale indipendente. Ecco allora che liquida il “fenomeno” Andy Warhol, affermando che “solo l’intelligenza e il gusto da modista che possedeva riuscirono a trasformare in un segno di modernità tutto ciò che non ha senso né stile ma solo il sapore eccitante del trasgressivo tenuto al guinzaglio”. A proposito di una mostra di Michelangelo Pistoletto, polemizza con un’affermazione di Germano Celant (“Noi non lavoriamo per gli spettatori, siamo noi stessi attori e spettatori, fabbricanti e consumatori”) obiettando: “Più che giusto, ma allora perchè allestire queste mostre che tra custodia, trasporto, messa in opera, assicurazione, stipendio al direttore e monografia trilingue comportano spese di centinaia di milioni? Alla faccia dell’Arte Povera”.
Nulla risparmia alla figura di Alberto Burri (altrove definito, insieme a Rauschenberg, “sublime nullità entrata a pagamento tra i santi di una società senza religione”) e alle schiere di critici che ne decretarono l’apoteosi, quando forse avrebbero fatto meglio – sostiene – a constatare al cospetto dei suoi sacchi o delle plastiche combuste “la morte dell’arte, la sostituzione del brutto al bello, del buio senza speranza alla luce”.
Emblematico, infine, sia a livello contenutistico che formale, è l’articolo del 1993 Come ti costruisco il genio, in cui l’autore, con il dente particolarmente avvelenato, ricostruisce i meccanismi con i quali secondo lui oggi si creano “fenomeni” artistici, attraverso una serie di combinazioni artificiali che ben poco hanno a che fare con il talento autentico, con la predisposizione manuale e poetica, con il lungo studio e la guida di un maestro, essendo piuttosto il frutto di quel sistema viziato dall’interesse economico e personale. Come annota Vittorio Feltri nella prefazione al volume, “gli scritti di Bartolini hanno certamente il pregio della nettezza. A volte della crudeltà. Ma non ce n’è altri che, come lui, abbia saputo strappare il velo alla ‘Grande Impostura’”.

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Stile Arte è una pubblicazione che si occupa di arte e di archeologia, con cronache approfondite o studi autonomi. E' stata fondata nel 1995 da Maurizio Bernardelli Curuz, prima come pubblicazione cartacea, poi, dal 2012, come portale on line. E' registrata al Tribunale di Brescia, secondo la legge italiana sulla stampa