Grazie alla galleria 28 Piazza di Pietra Stre3t Poethree | la fotografia diventa racconto di Marco Pejrolo.
Gli scatti di Marco Pejrolo nei racconti di Alessandro Bergonzoni, Massimo Carlotto, Carlos Maria Dominguez, Gian Luca Favetto, Vittorio Nocenzi, Gian Paolo Ormezzano, Laura Pariani, Darwin Pastorin, Alessandro Perissinotto, Pino Petruzzelli, Luca Ragagnin, Andrea Satta e Shel Shapiro. Trentanove fotografie selezionate tra centinaia di scatti e ricomposte in trittici ad ispirare le penne di tredici narratori.
di Francesca Anfosso
Fotografia e racconto, storie dal mondo, istanti di vita catturati e fissati dall’obiettivo del fotografo, che per un attimo porta l’osservatore altrove, e la maestria dello scrittore nel tradurre le immagini in parole, dando corpo e voce a protagonisti spesso inconsapevoli. Marco Pejrolo offre allo sguardo dell’osservatore frammenti di realtà nella più rigorosa tradizione della Street Photography. Fotografo, attore, regista e pedagogo teatrale. La passione di Marco Pejrolo per la fotografia va di pari passo con quella per il teatro che lo porta a girare il mondo dalla sua Torino alla Germania fino ad Argentina e Uruguay. I suoi viaggi diventano così spunto per i suoi reportages fotografici attraverso cui esplorare mondi e culture diversi.
Marco, qual’è il rapporto tra la fotografia e le tue variegate attività in ambito teatrale?
La mia storia dal punto di vista dell’essere fotografo è un po’ particolare; la mia formazione non è quella canonica. Ho sviluppato in modo parallelo le mie due passioni, ma mentre per il teatro la mia formazione ha seguito il percorso tradizionale alla fotografia sono approdato in modo più inconsapevole. Quando ho cominciato a studiare regia e mi sono confrontato con tutto ciò che riguarda la costruzione di senso e con la complessità di gestire l’arte teatrale, in cui convivono discipline molto diverse visive, sonore, di movimento, ho quasi inconsapevolmente sviluppato un mio modo di leggere e scomporre la realtà per poi ricostruirla in un messaggio più complesso che si realizza nell’evento teatrale. Nel fotografare seguo di norma un processo simile: osservo la realtà, la scompongo, provo a trovare la frequenza che di volta in volta emoziona. E vado a caccia…
Ci puoi raccontare come sei arrivato alla Street Photography? Nel tuo percorso ci sono stati nel tempo dei mutamenti di rotta?
Sicuramente sì. All’inizio la mia passione per la fotografia escludeva completamente le persone. Ho cominciato con fotografie astratte, still life, qualcosa di architettura, mi sembrava che quella fosse la cosa che mi colpiva di più e di cui mi accorgevo di meno. Con un lento processo evolutivo sono arrivato a comprendere come vedere l’essere umano nel mondo per poi poterlo ritrarre. Ricordo ancora la mia prima foto scattata consapevolmente, con l’idea di dire “adesso scatto una fotografia”. A Roma, qua dietro, davanti a Montecitorio, a due passi dalla tua galleria. Ritrae una finestra che riflette un lampione, il tema del riflesso è forse uno dei più frequentati e interessanti, l’ho ripreso e sviluppato anche in seguito. A proposito sono andato a cercare quella finestra…è ancora là . Dalla ricerca dei dettagli astratti e un po’ inusuali, sono passato al tema delle coincidenze. La cosa che mi stimola di più in questo momento è la ricerca dell’attimo. E l’attimo, un po’ come nella tradizione della grande Street Photography, è coincidenza.
Interessante questo concetto di coincidenza; ci dici qualcosa in più?
Ricerco le coincidenze, a volte le aspetto a volte mi sorprendono loro; “per coincidenza” accadono istanti che mi colpiscono…e cerco sempre di essere pronto.
La tua professione teatrale ti porta in giro per il mondo, in che misura questa opportunità ha influenzato la tua sensibilità d’artista?
Andare per le strade del mondo mi ha arricchito di molte suggestioni, ha stimolato il mio occhio; le persone, i volti, i comportamenti hanno preso il sopravvento e quindi quasi in tutte le fotografie, è ora presente l’essere umano.
Renzo Sicco, il tuo collega regista, sostiene che l’attore, dal palcoscenico, ha un punto di osservazione insolito sulla realtà. Questo influenza il tuo approccio alla fotografia?
Certamente. In due direzioni. L’una di carattere filosofico, l’altra invece molto pratica. La cosa che si allena di più stando in palcoscenico, paradossalmente luogo della finzione ma dove invece all’attore è richiesto un lavoro molto profondo sulla propria realtà, sono “i muscoli” dell’anima. Per l’attore il palcoscenico è una palestra in cui si allena a diventare sempre più permeabile e vulnerabile alle emozioni. Nel mio caso quando vado per strada, questa permeabilità e questa vulnerabilità mi rendono come una pellicola ad alta sensibilità.
Se ti chiedessi di individuare delle parole chiave che definiscano il tuo approccio all’espressione artistica?
La prima è senza dubbio empatia, fondamentale non solo sul palcoscenico. Anche per strada cerco di entrare in empatia con ciò che mi circonda. La seconda, poco praticata sul palcoscenico, ma che ritengo sia una chiave del successo, è umiltà. Io giro per strada con umiltà e rispetto per le persone, le storie e le cose che di volta in volta incontro. Un limite molto grande per chi prova a fare qualcosa che assomigli all’arte è quello della presunzione. Aggiungerei poi fiducia. Il potere che ti da avere una macchina fotografica tra le mani potrebbe creare un’enorme distanza tra te e le persone, la camera invece deve essere un ponte che ti mette in contatto con gli altri, con un rapporto di fiducia. Io in genere non rubo immagini, espongo il mezzo fotografico e cerco prima di tutto un contatto verbale con i miei possibili soggetti. Faccio domande, ascolto le loro storie e solo dopo, a volte, propongo di concedermi uno scatto.
Quindi la Street Photography è un tuo modo peculiare di vedere l’arte fotografica?
In questo momento certamente sì. Io amo tutte le altre forme di espressione artistica in questo campo; apprezzo per esempio i fotografi che fanno un lavoro molto “teatrale” di ricostruzione della realtà da fotografare, ma personalmente soddisfo già questo piacere in teatro.
La Street Photography ha senza dubbio una forte componente di istintività. Ci sono comunque tracce o tecniche che segui nella fase realizzativa di un tuo progetto fotografico?
Mi viene in mente un consiglio di un fotografo che a proposito di Street Photography mi disse che spesso andando per la strada le cose più interessanti avvengono dietro la tua schiena; voltarsi ad un certo punto e senza un motivo apparente consente, ogni tanto, di catturare dei momenti che altrimenti si perderebbero. Quindi non lasciarsi sedurre da una traccia che vedi di fronte a te, ma continuamente essere disposto a cambiare.
Un’altra piccola notazione, che arriva dal mondo del teatro, riguarda il cosiddetto “sguardo del clown”, cioè la capacità di vedere le cose non per quello che sono, ma per quello che possono essere.
Questo riguardare le cose osservandole da un altro punto di vista è sicuramente una buona traccia per provare a vedere quello che gli altri non vedono.
Stre3t Poethree | la fotografia diventa racconto, un’evoluzione del progetto Stre3t che hai già presentato a Monaco di Baviera e in America del Sud, ma arricchito di una dimensione narrativa, com’è nata l’idea?
Cercavo un’evoluzione del concetto di Stre3t, basato sulla composizione delle immagini in trittici, e mi è venuta l’idea di affidarli, come “starting point” di un processo creativo, a persone che fanno del racconto con la parola la loro vita. A ciascuno di loro ho inviato una serie dei miei trittici, loro ne hanno poi selezionato uno; e su questo hanno creato cose molto diverse.
Progetti futuri?
A breve partirò per l’Ecuador, dove scatterò per la mia prossima mostra prevista a Quito in autunno.